di ANDREA FILLORAMO
Da meno di due mesi Mons. Antonino Raspanti è Amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela, tuttavia, sentiti i preti che hanno avuto il piacere di accostarlo, egli ha dimostrato di possedere una non comune capacità di ascolto, il possesso di una grande apertura culturale e un preciso modello umanistico: non vuole essere il "dominus" e neppure il "primus inter pares” di quelli che egli ritiene “confratelli” e non “subordinati”. Il clero messinese è indubbio che deve ringraziare papa Francesco per aver scelto il vescovo di Acireale, dopo la “bufera” delle dimissioni di Calogero La Piana da arcivescovo, ad essere il traghettatore della diocesi verso l’era del nuovo ordinario della Chiesa peloritana. I preti, tutti i preti, superata ogni divisione, che ha caratterizzato il periodo precedente, devono convincersi di accettare la realtà, consistente nelle dimissioni e nella sostituzione del vescovo La Piana, per alcuni dolorosa e per tutti inusuale e quindi traumatica e aspettare la scelta del nuovo arcivescovo. I preti, tutti i preti, cioè quelli che si dichiarano ancora “amici” del vescovo emerito, sia quelli che “cristianamente” l’hanno osteggiato, devono volere il cambiamento della realtà stessa, che, sono certo, tutti desiderano. Il cambiamento, lo sappiamo, è un momento di caos, è preceduto sempre da una crisi più o meno forte perché si tratta di destrutturare e riorganizzare. Destrutturare e riorganizzare, nel nostro caso, l’istituzione della Chiesa locale, fare pulizia degli “arrampicatori”, dei “furbi”, dei “corrotti”, scegliere le migliori soluzioni dei problemi. Ricordiamo che quando si nega la realtà e non la si accetta, il cambiamento non avviene e la realtà si blocca nel grigiore e nella tristezza. La realtà si accetta soltanto quando diventiamo responsabili! Ciò significa che le persone irresponsabili e anche quelle gaudenti aspirano a una Chiesa a loro uso e consumo. Non ci sarà mai dialogo se non si pongono le condizioni perché si possa avere il coraggio di affrontarlo con decisione e serenità. Ma ciò non avviene, se a Messina, come del resto altrove, si creano ancora “differenze” fra i preti, fra i “preti di città” e quelli “di campagna”, fra chi indossa una talare filettata di rosso e chi usa una talare tutta nera o non la usa affatto. Certe abitudini che creano “separatezze”, anche se volute, accettate o incrementate dai vescovi, o da loro concesse come “benefici riservati agli amici”, devono non più esistere. Nessuno è in ‘esubero’ nella chiesa, nella diocesi, nella vicaria, agli occhi del vescovo perché non lo è agli occhi di Dio. Mi preme fare un’altra osservazione: la differenza di età e di formazione tra i preti crea spesso una serie di difficoltà e fraintendimenti con giudizi spesso trancianti. Ricordiamo, però, che problemi possono diventare anche possibilità e opportunità attraverso il presbiterio. Che anch’esso non diventi camera dello sfogo e luogo delle mormorazioni perché allora si profila il burn out. Speriamo che il nuovo arcivescovo, come padre e pastore, possa guidare il gregge alla maniera del Pastore e Capo “Gesù Cristo”; senza superbia, senza orgoglio, senza favoritismi; guardando soprattutto alle esigenze e alle necessità di tutti, soprattutto degli ultimi!