Rossella Di Benedetto
Mi chiamo Rossella e sono un’operatrice sociale. Il mio lavoro, come quello di molte altre mie colleghe, consiste nell’accogliere la domanda di aiuto delle donne maltrattate. Donne che si rivolgono ai centri antiviolenza per tutelare il proprio benessere psicofisico e quello de@ loro bambin@. Una costante le unisce: quella della dipendenza economica e conseguente sudditanza psicologica dagli uomini che le maltrattano. E quella dell’impossibilità ad avere una dimensione lavorativa normale.
Oggi è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Per combatterla davvero, e per dare a queste donne la possibilità di cambiare la loro vita, si passa anche dal lavoro. Lo vedo ogni giorno.
Ieri, ad esempio, ha chiamato Marta – il nome è di fantasia. È filippina, è in nero e non ha il permesso di soggiorno. Stava andando al lavoro, tre giorni dopo essere stata accoltellata dal suo partner: con un coltello le ha reciso la gola, e al pronto soccorso le hanno dato 20 giorni di prognosi. “Come fai a lavorare in queste condizioni?”, le ho chiesto. “Non posso far sapere al mio datore di lavoro la mia situazione. Perderei tutto. E questi soldi mi servono per uscirne”. Nel Centro dove lavoro, Giulia – anche questo nome è inventato – ha dovuto dire di no a un lavoro che le avrebbe richiesto di uscire molto presto al mattino. Ha tre figli, e non saprebbe a chi lasciarli quando, fra qualche mese, sarà fuori dal nostro Centro.
Ogni giorno tocco con mano il grande vuoto istituzionale e del mercato del lavoro che c’è in Italia. Un vuoto che, per una serie di motivazioni, si viene a creare nel momento in cui le donne ospiti del centro si mettono alla ricerca di un lavoro.
Le donne che subiscono violenza hanno maggiori difficoltà nel ricostruire il proprio percorso di vita che spesso passa attraverso nuove relazioni, indipendenza economica, autonomia. Ciò implica un percorso faticoso di riconoscimento di sé, di consapevolezza che si acquisisce soprattutto nel rapporto con il lavoro.
Noi operatrici sociali lavoriamo per l’autodeterminazione del sé e – in una fase più o meno finale di rielaborazione di un percorso doloroso – soprattutto per quella economica, delle donne ospiti dei Centri Antiviolenza. In molti casi, infatti, per le donne accolte nei centri antiviolenza ritrovare un lavoro è la base.
Ecco perché ho un sogno, e una richiesta: chiedo alle associazioni di categoria – Confindustria, Confesercenti, Confartigianato, Confapi, Legacoop, Coldiretti, Assoturismo e a tutte le aziende che vorranno – di avviare delle convenzioni tra aziende e centri antiviolenza per offrire percorsi di inserimento lavorativo alle donne che hanno deciso di dire basta alla violenza e vogliono riprendere a vivere a partite dalle proprie competenze e capacità. Ovviamente assicurando la loro privacy.
Vogliamo celebrare – limite massimo – la prossima giornata contro la violenza sulle donne con questo risultato.
Sarebbe un primo, fondamentale passaggio per aiutare Marta, Giulia e tante altre.
Perché ogni giorno è il #25novembre.