di ANDREA FILLORAMO
Mons. Alessandro Plotti (*), vescovo emerito di Pisa, già presidente della Conferenza episcopale toscana e vice presidente della CEI fu, dal 19 maggio del 2012 al 3 novembre 2013 Amministratore Apostolico ad nutum Sanctae Sedis della diocesi di Trapani, in seguito alla destituzione dall’incarico pastorale del vescovo Francesco Miccichè.
Mons. Antonino Raspanti, vescovo della diocesi di Acireale, il 24 settembre 2015 fu nominato. dopo le dimissioni di Mons. La Piana, avvenute ufficialmente per motivi di salute, Amministratore Apostolico ad nutum Sanctae Sedis, dell’Arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela.
Senza volere fare un’analogia fra i fatti che hanno determinato la destituzione del vescovo di Trapani e i motivi delle dimissioni dell’arcivescovo di Messina, chiunque ha notato che per la scelta dell’amministratore nelle due diocesi siciliane il Papa non ha fatto ricorso a un appartenente al clero della stessa diocesi, come spesso avviene e ciò la dice lunga sulle due scelte operate da Bergoglio, che, come sappiamo, dimostra quando è necessario, d’essere un pontefice deciso e decisionista, al cui confronto Karol Wojtyla, che fu un papa volitivo, risulta un mistico contemplativo altomedievale.
Una cosa è certa: ambedue le diocesi (Trapani e Messina), nella stessa maniera, sono state investite dalla bufera di vescovi che hanno “lasciato”, quando nessuno se l’aspettava e ciò ha procurato disagio, delusione, divisioni, sofferenze particolarmente nel clero assolutamente dipendente dal vescovo della diocesi in cui è incardinato.
Volendo fare riferimento a quello che chiamiamo " caso La Piana", cioè il caso dell’arcivescovo emerito di Messina, è indubbio che il disagio dei preti è stato ed è ancora notevole, dato che le dimissioni del vescovo sono avvenute all’interno della complessità di un contesto rimasto ai più sconosciuto, che ha comportato ingorgo informativo. Tale situazione ha creato condizioni di sovraccarico emozionale e un senso di incertezza generale, oscillante fra scetticismo di "cose" accadute o solo raccontate e verità dimezzate, sentimenti che ancora permangono e a mio parere rimarranno fino al cambiamento dell’arcivescovo che si spera avvenga al più presto.
Mi chiedo, però: sono psicologicamente preparati i preti a distaccarsi mentalmente dal proprio vescovo, che sicuramente ha marcato nel bene o nel male (sarà la storia a dirlo) il territorio per nove anni? Nutro dei dubbi fondati. Certamente il cambiamento di un vescovo per tanti è un fatto traumatico, per altri un fatto auspicato. Teniamo conto che la parola “cambiamento”, da me qui usata, è una di quelle parole alle quali inevitabilmente si associano significati emotivamente connotati, sia in senso positivo che negativo. Per alcuni preti messinesi, questa parola rappresenta qualcosa di piacevole, desiderabile e di valore positivo mentre per altri potrebbe invece associarsi a sensazioni spiacevoli di minaccia e preoccupazione. La ragione di queste differenze sta nella storia personale di ciascun prete, nelle esperienze che hanno lentamente costruito dentro di sé quella rete di significati e valenze emotive che resta inconsapevole ma che, segreta e personalissima, sottende ad ogni parola che usiamo e la colora di una tonalità emotiva del tutto soggettiva. Sarebbe auspicabile che i preti, tutti i preti, riscoprano il valore della loro vocazione che esige di essere uniti attorno al loro nuovo vescovo.
Del disagio dei preti di Trapani si è fatto carico Mons. Plotti in un’intervista. E quanto egli afferma può essere utile anche ai preti messinesi.
Egli dice: “Come si vince il disagio? Il disagio si vince prendendone atto prima di tutto. Perché è inutile far finta di non vedere, di non sapere e di tirare avanti come se nulla fosse. Bisogna avere il coraggio di mettere sotto il microscopio il disagio per sapere come nasce, dove nasce, perché, se non si fa una diagnosi, non si può inventare una terapia e fare una prognosi. Questo vale per tutte le realtà. Quindi bisogna vedere quali sono veramente i motivi di questo disagio. Credo che dobbiamo da una parte sanare queste sacche di delusione, di scoraggiamento, che sono un po’ presenti dappertutto, ma qui suonano in maniera piuttosto grave per vari motivi, perché c’è stata questa vicenda, direi anche drammatica, perché la rimozione di un vescovo non è un fatto positivo. Io so per certo che il Papa ha voluto personalmente esaminare tutti gli aspetti di questa realtà. Ma prima quindi bisogna sanare queste sacche di presa di distanza, di anonimato, di chiusura, di sfiducia”.
Egli, inoltre, aggiunge, accennando ancora ai ‘fatti’ avvenuti nella Chiesa trapanese: “Oggi per molti la Chiesa è un centro di potere, non parlo solo della Chiesa di Trapani ovviamente”.. Il ‘potere’, questa parola, nella Chiesa non dovrebbe avere cittadinanza, perché la Chiesa è servizio. Quindi, quando il servizio si trasforma in potentato, non ci siamo. Bisogna, credo, davvero mettere il potere fuori della porta. D’altra parte, il Concilio Vaticano II lo ha affermato in maniera molto inequivocabile, proprio cioè attraverso il ‘servizio’: «Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10,45). La Chiesa non si deve servire di nessuno, ma deve servire tutti. Questa credo che sia la cosa fondamentale”.
( * ) morto il 19 ottobre 2015