Andrea, mi piacerebbe che tu esprimessi un parere sul caso del teologo Charamansa, il monsignore che ha fatto coming out sulla sua omosessualità. Ciò ti darà la possibilità di mettere in evidenza anche i problemi d’ordine sessuale dei preti, dei quali difficilmente si parla.
L’argomento è complesso e interessante, anche per l’invito da te rivoltomi a centrare la mia attenzione sulla sessualità dei preti. Farò del mio meglio.Il caso del prete polacco, da te richiamato, ormai è conosciuto da tutti: un monsignore fa coming out e scuote il Vaticano alla vigilia del Sinodo sulla famiglia. Tutto è cominciato con un’intervista in prima pagina sul Corriere della Sera in cui il teologo Krzysztof Charamsa, 43 anni, ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede e segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale vaticana, oltre che docente alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum ha dichiarato: "Voglio che la Chiesa e la mia comunità sappiano chi sono: un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità etc..“.
Prima di introdurci, però, nel commento di questo fatto, permettimi di farti delle domande che servano da preliminari. Innanzitutto ti chiedo: essere omosessuali è un peccato per la Chiesa?
Assolutamente no! Così come non lo è essere eterosessuali. La tendenza sessuale non è un peccato per la Chiesa. E’ stato Papa Francesco che ha invitato a evitare di emettere giudizi, condanne o fatwe sugli omosessuali. In questo senso le sue parole costituiscono una novità nell’impostazione del problema, aprono lo spazio a una nuova comprensione da parte della fede cattolica dell’omosessualità e quindi di un aspetto della sessualità umana. Inoltre essere gay, per Bergoglio, è una “tendenza”, cioè fa parte delle possibilità dell’individuo, non è una malattia da curare. Per quanto assurdo possa sembrare bisogna considerare che in settori conservatori e tradizionalisti del mondo ecclesiale questa era una tesi sostenuta.
E dire che fino a poco tempo fa si pensava che l’omosessualità fosse una malattia
Pochi sanno che la parola “omosessualità” è stata eliminata definitivamente dal Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali nel 1973. Il documento che sanciva questa modifica dichiarava: “l’omosessualità in sé non implica un deterioramento nel giudizio, nell’adattamento, nel valore, o nelle generali abilità sociali o motivazionali dell’individuo”. Già da molto tempo dunque è sbagliato considerare l’omosessualità come una malattia, ma nonostante questo le persone comuni continuano ad avere questo pregiudizio e gli omosessuali essere vittime dell’omofobia. La società in cui la persona omosessuale vive, ancora fortemente omofobica ed eterosessista influenza enormemente lo sviluppo individuale ed il comportamento di gay e lesbiche.
I preti omo e eterosessuali fanno voto di castità, quindi l’ha fatto anche Mons.Charamansa?
I preti non fanno voto di castità ma solo promessa di celibato. Questo significa che un prete che pratica sesso, con una donna o con un uomo, non rompe un voto. Un religioso, che ha fatto voto di castità, invece sì.
Fare coming out, cioè esternare la propria condizione di omosessualità, atuo parere, è un problema per la società legata alla tradizione?
Non è semplice farlo là dove regnanodei pregiudizi che impediscono ai soggetti psicologicamente più deboli di rivelare la propria tendenza sessuale.I pregiudizi nascono là dove non si tiene conto che è largamente condiviso fra gli studiosi il fatto che l’orientamento sessuale non sia frutto di una scelta così come non esiste alcuna evidenza che esso possa essere modificato artificialmente (tramite le cosiddette "terapie riparative", che anzi risultano spesso negative per le persone che vi sono sottoposte).
Non rivelare la propria identità sessuale è un diritto per tutti?
Ciò che una persona fa a letto (o che lì vorrebbe fare) appartiene alla sua sfera più intima, e non è detto che mantenere riservatezza su questo non sia virtù, piuttosto che sbandierarlo. Siamo tutti liberi di manifestare ciò che preferiamo fare tra le lenzuola, ma dovremmo esserlo altrettanto di non farlo.
Torniamo al caso specifico di Charamsa?
Mi permetto, innanzitutto, di trarre da “Into the Wild”, un film del 2007, la seguente espressione: “C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo”. Questa frase, estrapolata dal lungo dialogo filmico mi fa dire che progettare e scegliere il proprio futuro e quindi cambiare vita, è un’esigenza tipicamente umana.
Questo ovviamente doveva valere anche per Charamansa
Dovendo riferirmi a Mons. Charamansa, rispondo che, se l’avesse voluto, avrebbe avuto la possibilitàdi chiedere ed ottenere la riduzione allo stato laicale, come hanno fatto, prima di lui 130.000 preti. Invece no. Egli ha usufruito di tutti i privilegi clericali e forse anche sarebbe diventato vescovo e cardinale, come altri omosessuali. Ma al monsignore premeva fare un exploit di orgoglio omosessuale e denunciare che nella Chiesa c’è una presenza massiccia di preti e vescovi omosessuali.
Presenza massiccia? Mi sembra un’esagerazione
E’ indubbiamente un’esagerazione ma, in ogni caso, i preti e i vescovi omosessuali sono tanti.
Data la tua vicinanza a quel “mondo”, conosci dei preti o dei vescovi omosessuali?
Conosco parecchi preti omosessuali non dichiaratie solo recentemente ho avuto notizia certa di un vescovo che amava incontrarsi con un altro omosessuale di sera tardi. Era addirittura incurante dei condomini che l’osservavano.
Ma, a tuo parere, quale è il motivo dell’esistenza di tanti uomini di Chiesa omosessuali?
Ci sono indubbiamente dei preti nati così, altri che lo sono diventati, anche per la prolungata presenza nei seminari, dove una certa percentuale di giovani con tendenze omosessuali hannotrovato rifugio.Tali tendenze talvolta peròsono staterimosse, talvolta anche sublimate, qualche volta hanno avuto il sopravvento. Di ciò il papa Benedetto XVI si è reso conto e proibì espressamente l’accesso al sacerdozio ai giovani gay.
Parlare della sessualità all’interno dei seminario, significa rivolgere un’attenzione particolare al fatto che i seminaristi sono costretti a stare insieme per lunghi periodi con persone dello stesso sesso?
Sicuramente! Da ciò potrebbe esprimersi un “comportamento sessuale situazionale“che è un comportamento sessuale di tipo differente da ciò che è usuale per una persona, dovuto all’ambiente che permette, incoraggia o obbliga quegli atti. L’ambiente può essere una prigione, un collegio, una comunità di segregazione sessuale, un seminario, un convento, dove i membri spesso possono assumere comportamenti omosessuali ma si identificano come eterosessuali in altre circostanze.
Ma qualunque tendenza omo o etero ha bisogno di essere accolta, razionalizzata e regolata. Ciò avviene attraverso una sana ed equilibrata educazione sessuale
Si, è proprio così. Ma dov’era e dov’è nei seminari l’educazione sessuale? Senza di essa la sessualità dei preti non ha la possibilità di diventarecome deve essere, un gioco, una relazione, una comunicazione, uno scambio di piacere e, non ultimo, un momento privilegiato dell’intimità ma un’attività ritenuta peccaminosa che molti seminaristi vivono o vivevano una volta in modo ossessivo, divenendone "dipendenti". E questo stato di dipendenzaperdura per tutto il tempo del loro ministero.
Cioè?
E’ questo un disturbo che viene definito come “ipersessualità”, in inglese "sex addiction" o "sex dependance”. Da osservare che i sesso-dipendenti non sono coloro che si prodigano in scappatelle più o meno concesse ma coloro che si privano o sono privati di quel piacere che fa parte della vita di ogni persona. Spesso sono persone che elaborano molti moralismi e con disgusto dichiarano la loro estraneità a tutto quel che gira intorno al sesso, ma questo non è dovuto ad una loro vera scelta ma piuttosto ad un disagio che non riescono a rivelare nemmeno a se stessi. In realtà si tratta di affamati di amore.
Ritengo, però, che chi soffre di questo disturbo non si rende conto.
Proprio così. L’ostacolo principale alla presa di coscienza di soffrire di questo serio disturbo è l’incapacità di riconoscerlo come tale.Da mettere in evidenza, inoltre, che il rifiuto fobico del sesso, facilmente razionalizzato, nel senso che viene giustificato con motivazioni di ordine religioso e morale, dà forma in genere a individui immaturi, che mai raggiungono un equilibrio psico-sociale.
In seminario tutto, quindi, concorre a reprimere l’istinto sessuale.
E non si pensa che la repressione della sessualità, quando è priva di sublimazione, crea disagio sociale ed emotivo in chi è costretto a subirla.In psicoanalisi, la sublimazione è un meccanismo che sposta una pulsione sessuale o aggressiva verso una meta non sessuale o non aggressiva. Questo consente una valorizzazione a livello sociale delle pulsioni sessuali o aggressive nell’ambito della ricerca, delle professioni o dell’attività artistica, fino al sacerdozio. Ritengo interessante laconsiderazione di don Enzo Mazzi quando afferma che bisognerebbe intervenire sul "disprezzo" per la sessualità che spesso è diffuso tra il clero, e dunque sul seminario, luogo nel quale questo "disprezzo" nasce e si sviluppa.
Accettare questa opinione, significa affermare che il cammino formativo dei seminari tende a "congelare" la sessualità, e, quindi, a bloccare il naturale sviluppo.
Se esso non si è recuperato, a fatica e da soli dopo, si rischia di diventare adulti con una sessualità ferma al periodo puberale o adolescenziale o, addirittura, con specifiche patologie sessuali. Ormai è accertato, infatti, che l’avversione sessuale esprime sempre marcate difficoltà emotive verso il sesso in condizioni psicologiche e psicopatologiche che coinvolgono estrema ansietà, sentimenti di terrore, attacchi di panico e manifestazioni somatiche. Da conversazioni avute con alcuni preti, formati nei seminari, mi risulta che, insieme al rifiuto della sessualità, esiste in essi anche una buona comprensione del loro stato.
Queste persone sono, come tutti gli altri uomini, scisse in una personalità ufficiale e in una personalità privata.
Ufficialmente considerano la sessualità come un peccato, ma privatamente sanno benissimo che non possono vivere senza i loro soddisfacimenti sostitutivi. L’astinenza prolungata, come la fame, genera squilibri mentali che portano l’uomo a comportamenti spesso pericolosi per sé e per gli altri. Molti dei vizi e delle perversioni che si verificano nella società, infatti, sono determinati da tabù che impediscono il normale svolgersi delle leggi naturali.E’ cosa risaputa che la natura, quando viene contrastata, prima o poi, fa valere le sue ragioni e in modo direttamente proporzionale alla violenza della repressione che si opera contro di essa.
Difficile, quindi, appare la vita sessuale dei preti.
E’ proprio così. Secondo la nota ricerca statistica di Rodriguez Pepe (“La vidasexual del clero”, Barcelona, 1995) il 95% dei preti si masturba, il 60% ha relazioni sessuali, il 20% è omosessuale, il 7% abusa di minorenni. Da un campione si ricava che: il 53% ha relazioni sessuali con adulte, 21% con adulti, 14% con minori maschi e il 12% con minori femmine.
Concludendo: se Krzysztof Charamsa, non si fosse presentato nel coming out con il suo convivente, avrebbe continuato a svolgere il suo servizio alla Santa Sede?
Sicuramente avrebbe continuato il suo molteplice servizio con tanti che, a differenza di lui, hanno mantenuto la loro privacy e non hanno mai pensato ad un loro coming out.