Ha guardato l’umiltà della sua serva

di Ettore Sentimentale

Alla soglia del Natale del Signore, dopo il cammino spirituale dell’Avvento, voglio brevemente soffermarmi sulla figura di Maria di Nazaret, non certo per farne un trattato quanto per proporre alcune piste di riflessione che prendono le mosse dal versetto del Magnificat: “Ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,48).

Se scorriamo la Bibbia, scorgiamo che “umiltà/umiliazione” si accompagnano quasi sempre al verbo “guardare/vedere”. A tal proposito basta citare Dt 26,7: “Gridammo al Signore e lui vide la nostra umiliazione”.

È chiaro quindi che Dio si china sempre sul misero, si fa prossimo del povero, dell’afflitto. Mentre Israele è schiavo in Egitto, Dio “vede l’oppressione del suo popolo e scende a liberarlo” (Es 3,7-8).

Il “vedere” di Dio – così come quello di Gesù – esprime sempre l’attenzione divina verso le sofferenze e umiliazioni dell’uomo.

Nel nostro testo si dice ancor di più: Maria proclama che proprio la sua umiltà ha “attratto” lo sguardo di misericordia di Dio su di lei. L’accento è posto, quindi, sullo “sguardo” divino. Il riferimento al “guardare di Dio” non è mai banale o sbrigativo, ma di vitale importanza dal momento che si ripercuote sull’esperienza quotidiana, soprattutto quando gli uomini sono “presi” dall’amore. Gli sguardi teneri e intensi che i fidanzati si scambiano, sono molto eloquenti. Ogni storia d’amore, infatti, inizia con uno “sguardo”.

Così avviene per Maria: il primo dono che ha ricevuto da Dio, è stato quello di sentirsi “guardata/osservata”, lei che si riteneva “povera serva”. Max Turian (cofondatore della comunità ecumenica di Taizé, dal 1987 presbitero della diocesi di Napoli, deceduto nel 1996, sepolto accanto a frère Roger), riprendendo il pensiero di Karl Barth, scriveva: “se qualcosa di fondamentale avvenne, è stato precisamente questo «sguardo»”, da collocare all’origine di tutto.

Se la Chiesa ci invita a leggere e a fare nostre queste parole, è perché l’esperienza di Maria è l’archetipo di quanto vivono i piccoli, gli esclusi, gli afflitti.

A ben ragione, tanti esperti rintracciano – nel versetto del Magnificat che stiamo esaminando – l’amore “preferenziale” di Dio per i poveri. Addirittura S. Giovanni Paolo II, scrisse nella Redemptoris Mater (37) che il cantico di Maria è “il manifesto dell’opzione preferenziale per gli ultimi”, i poveri: Dio ha agito sempre così nel corso della storia, andando contro la logica umana e sorprendendo tutti. Una risonanza contemporanea di questo “stile alternativo” la troviamo nelle scelte “impreviste” di papa Francesco che spiazzano sempre le previsioni umane e promuovono persone che vivono ai margini della scena ecclesiale.

Dobbiamo, però, domandarci se sia possibile individuare un criterio interpretativo delle scelte dell’Onnipotente. Stando al nostro testo, siamo tenuti a concludere che tale “parametro” è costituito dal “fascino” di Maria, dall’essere “povera serva”, definita dalla cugina Elisabetta “benedetta fra tutte le donne”.

Oggi, alla luce del Giubileo della Misericordia, potremmo azzardare che si rende necessario un passaggio: dall’opzione preferenziale per i poveri a quella per i peccatori. Un mutamento fortemente interessante e ancor più interessato, perché ci pone al centro dello sguardo d’amore di Dio.

Maria, in realtà, canta che Dio interviene per liberare non solo dalla povertà materiale (“ha ricolmato di beni gli affamati”), quanto da quella spirituale (“non di solo pane vive l’uomo”).

Così, nessuno può sentirsi escluso dallo sguardo amorevole di Dio, ma ognuno deve percepire di essere stato scelto per dare colore e spessore al mondo. Davanti a questa “sfida” in molti cristiani spesso fa capolino la sfiducia e il senso di rassegnazione. Vorrei invitare questi fratelli a non “dimettersi” da questa provocazione. Lo faccio, ricordando un episodio molto eloquente tratto dal film Mission. Quando il responsabile dell’eccidio degli indios guaranì volle giustificare la strage perpetrata, disse al Card. Altamirano (legato pontificio): “Non avevate altra scelta Eminenza. Dobbiamo lavorare per il mondo, e il mondo è così”. Il porporato rispose: “No, signore. Così lo abbiamo fatto noi questo mondo. Così l’ho fatto io”.

Quale mondo vogliamo?

Auguri di ogni bene per un Natale ricco di misericordia vicendevole…