Non sono venuto a portare la pace ma la spada

di ANDREA FILLORAMO

“Non sono venuto a portare la pace ma la spada" (Mt 10,34b. La spada alla quale Gesù fa riferimento non è quella che uccide,quella che nasce dalla violenza da lui condannata: “Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno”, è iscritto in Mt 26,52. Nel mondo e nel linguaggio giudaico l’immagine della spada era adoperata, particolarmente, per indicare l’efficacia della Parola di Dio; leggiamo, infatti; “Prendete la spada dello Spirito, cioè della parola di Dio”, (Ef 6,17; Sap 18,15; Is 49,2; Ap 1,16; 2,12). La parola di Dio, dunque, come scrive Eb,4,12 giacché è “viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio, penetra fino al punto di divisione della vita e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e sa discernere i sentimenti e i pensieri del cuore”. Ritengo che il tema della spada, intesa come buona notizia di Gesù, spada che trafigge il cuore di ogni credente, non abbia nulla a che fare con la pace intesa come rinuncia e passività, come combattività distruttiva, che esclude la volontà di realizzazione dell’uomo. In questo messaggio consiste l’essenza della rivoluzione antropologica, nella Chiesa, che sta operando Papa Francesco, che non si risparmia di sminuzzare in “briciole” quanto è contenuto nei Vangeli, dandolo in pasto a tutti, cattolici e non cattolici in un nuovo ecumenismo che non prevede “pareti”, sostituendo spesso la dottrina che, però, mai abbandona con la persona umana, che indubbiamente vale di più di un’astratta teoria resa molto spesso inconcludente per quelli che sono i problemi dell’uomo. Si tratta, anche, di una nuova “epistemologia” cristiana, cioé una “conoscenza certa “la cui scientificità consiste nella lettura attenta e talvolta originale dei testi sacri, che intenzionalmente è indirizzata a tutti ma, se osserviamo bene, è riservata soltanto a chi “orecchie per intendere” ed ha il coraggio di operare un’autentica “metanoia” dello spirito e un’autentica conversione del cuore.
Si tratta anche, forse, di un neo “personalismo”, che riprende in parte, traducendolo però in salsa argentina, quello degli anni trenta; un personalismo, perciò, che fa della persona il suo centro teoretico, che trova la sua legittimazione nel Concilio Vaticano II. E’ proprio in questo Concilio e soprattutto nella Costituzione “Gaudium et Spes”, che sono presenti tracce profonde di questa ispirazione, fatta propria ora dalla Chiesa di Papa Francesco.
Come si risponde alla rivoluzione voluta da papa Bergoglio?
Diciamo, innanzitutto che papa Francesco svolge, per suo merito, un ruolo da leader globale ed è un punto di riferimento universalmente riconosciuto in uno scenario di vuoto che spinge la gente a cercare nuovi riferimenti. Sul piano pastorale egli si presenta con un profilo al tempo stesso fortemente molto definito.
Affascinano la sua austerità francescana, il suo linguaggio molto chiaro con cui riesce a fare un’analisi spietata accompagnata dalla fiducia nell’uomo e in valori, come lo spirito di servizio, che possano dare una speranza. Non è passata inosservata, inoltre, quella affermazione radicale fatta nell’omelia in “Plaza de la Revolución” a L’Avana: “chi non vive per servire non serve per vivere”. A papa Francesco è stato riconosciuto anche il ruolo di mediatore imprescindibile tra contendenti storicamente contrapposti. “Il metodo del dialogo da lui esaltato in chiara polemica con il ‘metodo della guerra’, la diplomazia discreta e di alto livello, la ricerca di ciò che unisce… il metodo gesuitico, insomma, oggi stupisce perché si è rivelato decisivo per chiudere l’ultimo simbolo della Guerra Fredda, lo scontro tra USA e Cuba”.
Con Francesco torna il Vaticano II.
Molte altre cose si possono dire di papa Francesco ma ci affidiamo alle sue stesse parole dette nel video messaggio inviato ai partecipanti a Verona al ‘Festival della dottrina sociale della Chiesa’, che aveva per tema ‘La sfida della realtà’: “Fare un po’ di puliziaaumentare la trasparenza, recuperare freschezza, genuinità e agilità fa bene alle strutture e alle persone che operano nella Chiesa (…) La sfida della realtà chiede un cambiamento,da tutti è percepito il bisogno di cambiamento, perché si avverte che c’è qualcosa che non va".Esorta Francesco: "Il consumismo, l’idolatria del denaro, le troppe diseguaglianze e ingiustizie, l’omologazione al pensiero dominante, sono un peso da cui ci vogliamo liberare, con il recupero della nostra dignità e impegnandoci nella condivisione, sapendo che la soluzione ai problemi concreti non viene dai soldi ma dalla fraternità che si fa carico dell’altro".
Ci chiediamo, però, come si risponde a questa spinta rivoluzionaria all’interno della Chiesa, papa Francesco ha dei nemici?
Risponde in parte il Fatto Quotidiano in cui leggiamo: “L’elenco è lungo: ‘Potentati finanziari, multinazionali, mafie, terroristi islamici, trafficanti di armi, prelati arraffoni. Ma anche ‘nemici in casa’ a iniziare dai cardinali Tarcisio Bertone e Raymond Leo Burke”
Diciamolo pure: nella Chiesa ci sono dei cardinali, molti vescovi, una certa parte di clero che non nascondono la loro delusione sul Papa argentino. La loro delusione è data dal fatto che essi sono tenacemente legati al passato, che non vogliono abbandonare e a loro dà fastidio, anche se non lo vogliono ammettere, la crescente soddisfazione di quanti sentono in questo papa l’eco dell’amore del Padre che raggiunge il cuore di ogni uomo, e l’entusiasmo dei poveri, degli emarginati, degli invisibili.
Essi accusano il Papa, talvolta a bassa voce, talvolta scrivendo, di populismo, di eccessivo esibizionismo, di stravolgimento della tradizione, su cui si fonda la Chiesa di Roma, e, inoltre, di mancanza di rigore teologico, giungendo, persino, ad accennare all’invalidità della sua elezione e all’usurpazione del trono pontificio che prima era di Benedetto XVI.
Al papa, però, non è piaciuta particolarmente l’accusa fattagli di “pauperismo” con un richiamo al movimento pauperistico medievale e ad essa così obietta: “Prima che arrivasse Francesco d’Assisi c’erano i “pauperisti”, nel Medio Evo ci sono state molte correnti pauperistiche. Il pauperismo è una caricatura del Vangelo e della stessa povertà. Invece san Francesco ci ha aiutato a scoprire il legame profondo tra la povertà e il cammino evangelico. Gesù afferma che non si possono servire due padroni, Dio e la ricchezza. È pauperismo? Gesù ci dice qual è il ‘protocollo’ sulla base del quale noi saremo giudicati, è quello che leggiamo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: ho avuto fame, ho avuto sete, sono stato in carcere, ero malato, ero nudo e mi avete aiutato, vestito, visitato, vi siete presi cura di me. Ogni volta che facciamo questo a un nostro fratello, lo facciamo a Gesù. Avere cura del nostro prossimo: di chi è povero, di chi soffre nel corpo nello spirito, di chi è nel bisogno. Questa è la pietra di paragone. È pauperismo? No, è Vangelo. La povertà allontana dall’idolatria, dal sentirci autosufficienti. Zaccheo, dopo aver incrociato lo sguardo misericordioso di Gesù, ha donato la metà dei suoi averi ai poveri. Quello del Vangelo è un messaggio rivolto a tutti, il Vangelo non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza, quell’idolatria che rende insensibili al grido del povero. Gesù ha detto che prima di offrire il nostro dono davanti all’altare dobbiamo riconciliarci con il nostro fratello per essere in pace con lui. Credo che possiamo, per analogia, estendere questa richiesta anche all’essere in pace con questi fratelli poveri”.
L’accenno alle accuse mosse a papa Francesco, se prima era una discreta mormorazione, fatta sulle tracce dello scrittore Socci, oggi sta diventandodissenso nei confronti del Papa, delusione e risentimento dapprima covato e ora manifesto.
La delusione è innanzitutto di alcuni cardinali elettori, pomposi anacronistici principi della Chiesa, che avevano scelto un papa dottrinalmente sicuro, sicuramente tradizionalista ma con accettabili aperture verso il nuovo, capace di traghettare la Chiesa verso un periodo di tranquillità. Essi non si aspettavano che il papa ponesse mano in maniera decisa e senza compromissioni alla riforma dellaCuria romana, eliminassei privilegi,fustigasse le vanità del clero, mettesse in carcere addirittura uno di loro.
Ad essi, inoltre, dà fastidio vedere il papa, per loro da non imitare, scendere la scaletta dell’aereo con in mano una vecchia borsa, rinunciare al palazzo pontificio, non calzare scarpe “Prada”, indossare una povera tunica, avere al dito un dozzinale anello poco pontificio e al collo una ruvida croce.
E’ indubbio che tutto ciò è un monito per ciascuno di loro che non vorrebbero abbandonare quelli che sono stati per secoli gli emblemi del loro potere.
Contraltare di questo modus vivendi del papa, per alcuni è stato il party molto chic, organizzato dal cardinale TarcisioBertone per i suoi 80 anni, dove non sono mancati porcellane, fiandra, argenti, cristalli, un menù a base di tartufo d’Alba, roba per raffinati intenditori, innaffiato da vini piemontesi di gran pregio. Insomma, tutto senza badare a spese. In antitesi al nuovo volto della chiesa che papa Francesco sta tentando a fatica di costruire.
Otre i cardinali sono delusi anche molti vescovi, particolarmente i bertoniani, quelli cioè fatti eleggere da Bertone, salesiani e non – e sono molti – per i quali è difficile imitare nell’abbigliamento e nella cultura papa Francesco e percepire di essere graditi per ottenere i favori.
Sono tanti, ancora, i vescovi vanesi, che non riescono a capire che cosa significa “avere l’odore delle pecore” e quali sono i motivi per i quali il papa lancia continuamente gli strali contro di loro.
Assistono, quindi, con sgomento, al decisionismo pontificio che dimette o fa dimettere i vescovi ritenuti indegni, concedendo loro al massimo di affermare che le dimissioni sono state volontarie perché date per motivi di salute, come del resto il papa fa scrivere nelle comunicazioni vaticane.
Povera Chiesa, se nei suoi ranghi e nella sua gerarchia, mantiene ancora vescovi bugiardi e ipocriti, dimessisi per non essere rimossi, che meriterebbero essere non solo privati delle loro diocesi ma ridotti allo stato laicale o mandati in qualche convento irraggiungibile per espiare i loro peccati!
Purtroppo, però, non è così e alcuni di loro – ne sono certo – sperano in un prossimo papa che, stando all’età, dell’attuale, dovrebbe essere molto vicino nel tempo, che li restituisca a quello che sostengono è l’onore che ritengono ingiustamente perduto!
Nel frattempo, pur essendo emeriti, percepiscono, se italiani, una ricca pensione data dalla CEI, proveniente dall’8 per mille della fiscalità nazionale, che loro bene o male hanno gestito nelle loro diocesi.
La delusione ancora colpisce molti preti che si sentono spiazzati da questo papa. Essi, formati nei seminari, da un progetto secolare, immobile, identico in ogni seminario, che distribuiva il compito educativo a diversi livelli o ‘strati’ tra loro relativamente indipendenti. Il primo livello era quello dell’uomo ‘naturale’; seguivano: la dimensione genericamente religiosa, la formazione del credente e, infine, del discepolo impegnato nella sua figura vocazionale. Secondo tale distinzione, i primi due strati sarebbero stati di competenza razionale; per gli altri due sarebbe stato invece necessario il salto della fede.
Chiunque se ne intende di educazione sa bene che questa impostazione troppo ‘rigida’ del problema porta a rischi evidenti nel processo educativo, data la frammentazione del processo formativo, per cui gl’insegnanti devono occuparsi della mente o dell’aspetto intellettuale, gli educatori della condotta esterna o delle attività pratiche, il rettore del discernimento finale, il direttore spirituale dell’anima o del cammino cosiddetto spirituale e, infine, il confessore della coscienza.
Così facendo si perde di vista la persona nella sua globalità e unità, determinata proprio dalla sua umanità, luogo in cui convergono tutte le sue varie componenti. Non si forma il prete senza formare contemporaneamente l’uomo e il credente, solo allora la formazione diventa vera.
I preti, quindi, cresciuti nel rispetto rigido della dottrina, indifferente al bene delle persone, ora non sanno come comportarsi. Devono recuperare un’umanità che l’osservanza delle norme ecclesiali ha come atrofizzato. Credevano di essere, in quanto sacerdoti, al di sopra delle persone, e ora questo papa li invita a scendere e mettersi a servizio degli ultimi. Indubbiamente non sono delusi, anzi sono entusiasti i poveri, gli emarginati a causa del Vangelo, che Papa Francesco fa riscoprire.