Questa riflessione di padre Ettore Sentimentale ci avverte che fra noi e la generazione successiva alla nostra è scattata una differenza di non poco conto. L’uomo oggi ha perso tante certezze e deve purtroppo convivere con slogan e falsità. Ecco perché ha dedicato il suo tempo, i suoi pensieri e le sue energie a dileguarsi, a imboscarsi, a negare la sua stessa esistenza. E’ diventato l’uomo invisibile.
Rg
La sera del 24 dicembre 1993, mentre si apprestavano a festeggiare il Natale, i monaci di Tibhirine (noi abbiamo visto anche il film “Uomini di Dio”) ricevettero la visita di un gruppo di sei islamisti armati. Christian de Chergé, priore del monastero, preciserà poi le circostanze di questo “incontro”; mentre tre uomini armati rimanevano fuori, gli altri tre facevano irruzione nella foresteria e domandavano di vedere “il papa del luogo”. Christian arrivò e si trovò faccia a faccia con SayahAttia, lo stesso responsabile dell’assassinio di dodici cristiani croati perpetrato 10 giorni prima a pochi chilometri dal monastero.
“Egli è venuto a domandare cose ben precise – racconterà fr. Christian – era armato di pugnale e mitraglietta. La prima cosa che ha fatto è stata quella di accettare di uscire, perché non intendevo parlare con un armato dentro una casa votata alla pace. Quest’azione ha permesso che ci trovassimo fuori dal monastero e ai miei occhi lui è apparso disarmato. Così ci siamo guardati, occhi negli occhi (…) Io gli dissi: «Ci stiamo preparando a celebrare il Natale, e questa Festa per noi, è la nascita del Principe della Pace, mentre voi siete arrivati qui armati». Lui mi rispose: «Scusatemi, non lo sapevo». SayahAttia accettò di andarsene subito, annunciando però che sarebbe ritornato”.
Christian de Chergé dirà ancora: “Un’esperienza vissuta presentando solo le mani nude all’omicida, così è stato possibile disarmarlo…non solamente donandogli la possibilità di vedere da vicino il volto di un fratello in umanità minacciato di morte, ma pure lasciandogli un’ottima possibilità di rilevare qualcosa del suo proprio volto nascosto «nelle profondità di Dio»”.
Christian confesserà di aver avuto la sensazione di sfiorare la morte. Dopo la partenza dei loro “fratelli della montagna”, i monaci dovevano continuare a vivere: “Era necessario lasciarsi disarmare e rinunciare a questa attitudine di violenza che si sarebbe concretizzata nel reagire a una provocazione con l’irrigidirsi”. Christian si ricordò allora del comandamento di Gesù: “Amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi perseguitano” (Mt 5,44) e si domandò quale preghiera avrebbe potuto fare per il responsabile del gruppo armato la cui minaccia continuava a pesare su di lui e i suoi fratelli.
“Allora la mia preghiera è sorta spontanea: «Signore, disarmalo, disarmaci». Questo ho diritto di chiederlo. E subito dopo, mi sono detto: ho il diritto di domandare «disarmalo» se non comincio a dire «disarmami e disarmaci in comunità»? Sì, questa è la mia preghiera quotidiana, ve lo confido con molta semplicità; tutte le sere dico: «Disarmami, disarmaci, disarmali»”.
Dopo questa lunga introduzione, in molti penseranno che il parroco – non appagato ancora delle cose scritte e dette – voglia ulteriormente approfondire il discorso sulla pace. Costoro hanno ragione in parte. Tutti sanno infatti che il papa ha inviato un messaggio per la 49° Giornata mondiale della Pace: “Vinci l’indifferenza e conquista la pace” (vi invito a leggere con calma questo testo, magari quando le nebbie dei fumi di botti e alcol si saranno diradate). Dal messaggio di papa Francesco prendo le mosse per lasciarmi provocare (e lanciare anche a voi la stessa sfida), da un passaggio vitale: “La pace va conquistata: non è un bene che si ottiene senza sforzi, senza conversione, senza creatività”.
Come il priore di Tibhirine continuo a supplicare con insistenza: “Disarmami, disarmaci, disarmali”, i soggetti sono facilmente identificabili: si tratta del sottoscritto, della comunità, di coloro che intenderebbero impiantare qui i propri conflitti. Le armi da far cadere non sono chiaramente gli strumenti più o meno convenzionali di morte, quanto i sentimenti di rivalità, di inimicizia, di diffidenza, di esclusivismo, di intolleranza…particelle microscopiche che si annidano nelle pieghe più profonde e oscure dal cuore, tanto da non essere evidenziate dai test di laboratorio più accurati… C’è bisogno di un’indagine molto più complessa che contempli vari parametri perché i valori rientrino nella “norma”.
Perché questo approccio particolare? Per il semplice motivo che mi interessa moltissimo la “pace di casa mia” (bellissima l’espressione dialettale: “Vogghiu a paci da me casa”), ove per “casa” si deve intendere non solamente il perimetro circoscritto dalle vie Buganza, Reggio Calabria, Lombardia e Napoli… La casa è questa comunità chiamata per grazia divina ad essere contemporaneamente luogo e tempo di perdono e di festa.
Cari amici, se dovessimo continuare a vivere secondo i canoni dell’apparente rispetto, della formale cordialità, della pretesa visibilità ministeriale…allora senza accorgercene siamo stati toccati da un virus che sfugge ai più sofisticati test, perché nel nostro cuore è stato attivato un simulatore di vita: in tal caso siamo affetti da ipocritite pandemica virale…Una patologia che si propaga velocemente perché scaturisce un ceppo comune: la mancanza di amore. Sicché anche se camminiamo, ridiamo, celebriamo, aiutiamo gli ultimi…di fatto abbiamo dentro di noi i bacilli della morte. S. Giovanni scrive: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (1Gv3,14).
E l’amore non ha confini, non può escludere, non può mettere in atto tutte le strategie “cerchiobottiste” per rimanere sempre sotto i fari della ribalta del mondo, della comunità, della famiglia…
Il Vangelo di questo tempo di Natale ci ricorda che il nostro Dio è un Dio disarmato in sé, eppure disarmante… tramite coloro che credono in lui. Questo è stato il suo stile di rivelazione, manifestato pienamente nel Figlio amato che ha accettato il rischio di morire per non uccidere.
A differenza di tanti cristiani che affrontano il rischio di “uccidere” (in pensieri, parole, opere o omissioni) per non “morire”.
Carissimi, in questa fine anno, nella quale celebriamo l’Eucaristia della Solennità di Maria, Regina della Pace, volgiamo il nostro sguardo verso Colui che è nato, chiamato da Isaia “Dio ammirabile, Principe della Pace”. Proprio questo Dio/bambino indifeso ci aiuta a rileggere il cap. 2 di Luca, nel quale viene descritto l’irrompere di questo Principe nel nostro mondo violento. Approfondiamo la pista offertaci dal vangelo per riconoscere la Sua venuta nei nostri cuori, all’alba del nuovo anno.
Seguendo il testo noi vediamo i pastori, persone silenziose e solitarie, capaci però di intendere le voci celesti, nel cuore della notte, e in mezzo alle tenebre annunciano una grande gioia, la nascita di un Salvatore per tutto il popolo…loro ritrovano semplicemente il Neonato in una mangiatoia. Bisogna avere un cuor puro per credere a questa Buona Novella e mettersi in marcia nella notte e riconoscere un salvatore attorniato da due poveri (Maria e Giuseppe) e qualche animale.
Grazie a questo messaggio ricevuto e condiviso, grazie alla sua conferma attraverso questa umile Presenza che sparge tenerezza e dolcezza, i pastori “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano inteso e visto, secondo quanto era stato loro annunciato”.
Questo evento può ripetersi per ciascuno di noi se sapremo ascoltare la voce dell’«angelo» che dimora nel fondo del nostro cuore e in quello di coloro che ci stanno accanto, attraversando così il silenzio e la notte oscura, osando cercare il volto di un Dio Salvatore, nascosto fra Maria e Giuseppe, piccolo fra i piccoli…
Chiediamo al Signore, per noi tutti, durante l’adorazione che prolungherà questa Eucaristia il coraggio della misericordia, per gustare la libertà e l’amore, segni identificativi dei veri figli dell’unico Padre.
Ettore Sentimentale