di ANDREA FILLORAMO
Il linguaggio di ogni persona è un segno tangibile, per chi lo sa "leggere" del suo modello di realtà e di vita. A seconda del tipo di linguaggio che ogni persona usa è possibile capirne il suo modo di farsi conoscere e di far vedere il mondo. Questa concetto mi è stato utile per individuare degli indizi, per rappresentarmi il mondo di papa Francesco e, quindi, di entrare in contatto con lui. Per questa operazione mi è stato indispensabile leggere con molta attenzione il libro di Benedetti Amedeo: “Il linguaggio di papa Francesco, al secolo Jorge Bergoglio”, L’autore, nel fare l’ermeneutica del linguaggio del Papa, utilizza un metodo di ricerca, messo a punto e ormai sperimentato dallo stesso per ricerche che hanno dato buoni frutti anche nel campo della comunicazione religiosa, attraverso alcuni testi: "Il linguaggio di Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger" (Genova, Erga, 2012), e "Da che pulpito. Manuale sul linguaggio clericale e la comunicazione religiosa" (ivi, 2015). Una prima cosa che occorre dire è che Papa Francesco comunica e sa comunicare con un linguaggio che è alla portata di tutti e manovra una filosofia diciamo pure spicciola. La sua oratoria è di tipo colloquiale, fatta di immagini, ricca di metafore, che indubbiamente hanno una presa immediata di notevole impatto e di efficacia comunicativa, attentamente studiata, fatta di “parole o espressioni ad effetto”, come, per esempio: “ Chiesa babysitter”, “Dio spray”,” cristiani satelliti”, “odore delle pecore”etc, pronunciate quando parla a braccio e sicuramente con maestria e quando particolarmente si rivolge alle folle, con le quali riesce sempre ad avere un rapporto personale. Egli, quindi, riesce più di Wojtyla pope-star, quello che agitava la mani, ritmava i canti assieme ai giovani che assiepavano gli stadi delle Gmg, parlava in romanesco al clero romano, celebrava messe negli stadi e faceva continui bagni di folla. La specificità di Papa Francesco sta tutta nel fatto che quando si rivolge alle folle, egli è capace di interloquire con i singoli, ad avere una parola, un abbraccio, un gesto particolare per ciascuno. Riesce a rompere l’anonimato dei raduni di massa con piccoli e accurati “fuori programma” (conversazioni, battute, gesti di quotidianità, carezze, abbracci) che danno la sensazione di un papa che individua e cerca proprio te, in mezzo a tanti. E “questo colpisce indubbiamente molto i fedeli”. Ma anche i media che continuamente rilanciano le immagini del papa vicino ad un malato, con in braccio un bimbo, che parla di aspetti quotidiani della vita con qualcuno dei fedeli che riesce ad avvicinarlo, che parte per il Brasile con una borsa in mano, che augura “buon pranzo” alla fine dell’Angelus domenicale, che saluta, sorride e gesticola come una personaqualunque. Ma quali sono i temi che il Papa tratta? Nessuno si aspetti che Papa Francesco pronunci scomuniche, minacci inferni, parli dei temi su cui la Chiesa e i suoi predecessori, hanno parlato a lungo. Egli sa che la posizione della Chiesa su alcuni temiè ben conosciuta e ritiene addirittura controproducente insistere per esempio suimatrimoni gay, la fecondazione assistita, i “diritti” dell’embrione, il divorzio breve, l’aborto, l’eutanasia, ed il testamento biologico. La Chiesa di Bergoglio è una Chiesa senza anatemi e scomuniche di ogni tipo, è la Chiesa della misericordia. Sa benissimo il Papa che ci sono movimenti, vescovi, preti e laici che vorrebbero un papato belligerante, dottrinario e mal sopportano i discorsi del Papa ritenendoli buonisti e irenici, che fanno da sostegno ai “coup de théâtre”, ai quali Papa Francesco ci ha abituati, come il pagamento del conto dell’albergo dove ha alloggiato per il Conclave, la rinuncia all’appartamento papale, l’ abbandono dell’auto blindata e il continuo richiamo alla sobrietà ed alla povertà come condizione indispensabile per la Chiesa. Scrive il cardinal Walter Kasper: «Papa Francesco annuncia il messaggio sempre valido del vangelo nella sua eterna novità e freschezza, senza ridurlo a un qualche schema preconfezionato. Papa Francesco unisce la continuità nei confronti della grande tradizione della Chiesa con quel rinnovamento che sa incessantemente sorprendere. Delle sue sempre nuove sorprese fa parte anche l’imbarazzante programma di una Chiesa “povera per i poveri”. Non è un programma liberale, ma un programma radicale – radicale nel senso originario della parola, perché significa un ritorno alle radici. Questo riandare alle origini non è tuttavia ripiegamento sul passato: è una forza per un inizio coraggioso rivolto al domani. È la rivoluzione della tenerezza e dell’amore» (cardinal Walter Kasper).