di Andrea Filloramo
Email ricevuta il 5 aprile 2016, alle ore 17,21 da: tngi@……….it
“Carissimo, riferendomi al tuo articolo “Mistero della fede” del 5 aprile 2016, ritengo che tu abbia usato, più delle altre volte, sobrietà ed eleganza scrivendo del fatto che ha determinato le dimissioni dell’arcivescovo di Messina, di cui tutti ne parlano ma nessuno mai esplicitamente, vuoi per mancanza di notizie certe vuoi per falso moralismo.Ma non è stato sicuramente così per te. Con grande stile e senza eccedere nello scandalismo tu hai scritto che fra l’arcivescovo emerito e il medico della Curia c’era una “bella amicizia”, cosa del resto nota a tanti. Eccezionale, poi, mi è apparso l’accenno che fai della “lettera” del Bertolami, scritta alcuni giorni prima della morte, di cui scrivi che quando “chiunque si trova quasi al cospetto di Dio, si pente di quel che erroneamente ha fatto o scritto”. Infine concludi con la notizia: ”so con certezza che tutto è stato trasmesso a papa Francesco da un prete molto vicino a Bertolami”. In poche righe hai detto tutto ciò che le persone oneste volevano sentirsi dire e hai svelato quel che era a tua conoscenza. Grazie”.
Lo so, l’eleganza non è un accumulo di orpelli e di esibizionismi. È stile, consapevolezza, misura, equilibrata mescolanza di istintivo, buon gusto e scelte precise, di cura della sostanza e minuziosa attenzione a ogni dettaglio. L’eleganza è cortesia. È rispetto per gli altri, attenzione al modo in cui ciò che diciamo, facciamo, scriviamo o mostriamo può essere percepito. Non un formale galateo, non un cerimoniale ipocrita, non un banale e passivo adeguarsi al convenzionale, ma un più profondo sentimento di civiltà. L’eleganza è sobria – e la sobrietà è elegante. L’una e l’altra sono piacevoli, gradevoli, confortanti. Non solo più umane e funzionali, ma anche più belle. Possono essere, quando è il caso, seducenti – anche maliziose. C’è più fascino nella semplicità che in ogni sfacciata esibizione.
Stiamo vivendo in un’epoca che offre troppo spazio alla volgarità, all’esagerazione, agli scandali, alla continua ricerca di peccati e peccatori specialmente se preti, vescovi e cardinali, al culto sviscerato e stupido delle apparenze. È anche la quotidiana sofferenza di dover cercare, subire, avere, esibire, vedere, toccare, maneggiare (e fingere di ammirare) un’infinità di amnicoli e di ingombri fastidiosi quanto inutili.
Andiamo al nostro o meglio a quel che io so sull’“affare” del vescovo dimessosi a Messina, che – come dice il mittente dell’email –non l’ho considerato come uno scandalo ma ho trattato, com’è mio costume, in modo sobrio ed elegante.
Per far ciò, parto da un concetto che per me è elementare: la verità non è mai scandalosa, anche se si riferisce ad un vescovo; lo scandalo può produrlo chi la racconta, a come egli la racconta e alle finalità che si propone nel raccontarla.
Nel mio breve racconto dell’articolo richiamato dalla email, perciò, ho cercato di dire la verità sul vescovo in questione, riferendo quel che so, dopo i necessari accertamenti, di deburocraticizzare e di “umanizzare”, cioè, il più possibile, un fatto, un accadimento, cheha creato molto scalpore e non solo a Messina, quello, cioè, delle sue dimissioni; mi son guardato bene, pertanto, di non trattare il vescovo, in modo malizioso, come hanno fatto in tanti. Ho cercato, in parole povere,andando al di là della famosa eredità, di ridurre le stesse dimissioni a quel che, a mio parere, sono, cioè l’esitodi una “bella amicizia”, come l’ho definita, fra un anziano medico e un vescovo. Se poi questa “amicizia” non è stata “bella” oè stata altro, pazienza! Non ho esagerato certamente, io dicendo la verità.
Se, infine, il medico, prima di morire, postosi di fronte a Dio, ha raccontato, in una lettera, faccende sue e del vescovo, dei loro incontriche non interessano nessuno, e se poi questa, giunge a Roma…, non so che dire: questo diventa un problema soltanto del vescovo che deve subire le conseguenze e non nascondo che me ne dispiace, come mi dispiace il fatto che dopo le dimissioni ci sono stati ben due Amministratori Apostolici e Dio solo sa quando sarà nominato il nuovo Arcivescovo.
Sarebbe, quindi, morbosa la curiosità di quanti vorrebbero leggere tale lettera, diffonderla, esibirla, renderla pubblica. E’ assurdo mantenere una costante attenzione su ciò è pura morbosità, cioè una condizione psicologica caratterizzata da mancanza di equilibrio nel comportamento.
Resta il fatto che scrivo di un periodo buio della diocesi peloritana, sulla quale si è abbattuto un terremoto più disastroso di quello del 1908, che non è finito con le dimissioni di La Piana. Esso ancora continua, con movimenti sussultori che hanno fatto fuori già un Amministratore Apostolico, ma lascia intatti sempre ai loro posti quanti hanno contribuito al “disastro”, che – sono certo – non vogliono “mollare” neppure adesso che arriva il nuovo Amministratore Apostolico, né vorranno “mollare”- ne sono certo- quando sarà nominato il nuovo Arcivescovo, che sarà obbligato, come già ho scritto a “fare piazza pulita” se non di tutti ma almeno dei “cialtroni”. Tante sono le risorse umane nella arcidiocesi, alle quali il nuovo Arcivescovo e forse anche lo stesso Amministratore Apostolico che fra giorni giungerà a Messina possono ricorrere nella scelta di coloro che devono collaborare nel “risanamento” morale e economico di una diocesi “disastrata”. Speriamo che quel che non ha fatto o non ha potuto fare Raspanti lo facciano loro. Da quasi due anni scrivo su questo giornale e purtroppo devo dire che, mio malgrado, sono stato un profeta di sventura. Speriamo che in tutti ci sia uno sguardo ottimista. Se la crisi che attraversa la diocesi appare di una gravità con pochi precedenti e la tentazione del pessimismo rischia di farsi strada è presumibile che il futuro darà ragione a chi continua a credere nelle vie misteriose della Provvidenza.