di Ettore Sentimentale
Sono trascorsi circa 10 giorni dal momento in cui il Vescovo di Roma – che presiede nella carità – ha fatto dono a questa diocesi di un nuovo amministratore apostolico, mons. Benigno Luigi Papa, il quale ha dato la sua stabile disponibilità per collaborare alla nostra gioia (cfr. 2 Cor 1,24), al fine di preparare questa chiesa locale ad accogliere il nuovo vescovo, quando i tempi saranno maturi.
Si tratta di rivivere un “nuovo avvento” (seppur fuori stagione), predisponendo il nostro animo a fare spazio – nella preghiera, nella conversione personale e comunitaria – a colui che sarà il pastore delle nostre anime.
Penso tuttavia che la citazione paolina, riportata dal presule nel suo messaggio alla diocesi, in realtà getti una luce particolare sul cammino da fare in questo periodo, il “frattempo” che ci separa dalla scelta del nuovo pastore.
Vorrei prima sintetizzare i passaggi cruciali che emergono dal confronto con lo scritto paolino, per tratteggiare in un secondo momento gli atteggiamenti irrinunciabili con i quali rivestire le nostre vite.
2 Cor 1,24 fa allusione a un rapporto dolce/amaro fra l’Apostolo delle genti e i Corinti. Nello specifico indica un cambio di prospettiva (almeno in Paolo) rispetto al passato. Se fosse andato a trovarli prima, l’avrebbe fatto “con la verga” (1 Cor 4,21), così come lui stesso ricorda nel versetto precedente: “è stato per risparmiarvi che non sono venuto prima” (2 Cor 1,23).
Qual era il “pallino” di Paolo? Il desiderio di unire i Corinti nell’amore… e per far questo aveva differito la sua andata fino al momento in cui la grazia di Dio avrebbe operato una “conversione” fra i credenti. Tale rimando aveva fornito ai “santi” dell’istmo l’assist per delle speculazioni e insinuazioni di bassa lega.
Quali secondi fini avrebbe avuto Paolo se afferma – a chiare lettere – di non volere “dominare sulla loro fede” (2 Cor 1,24)?
Altre precisazioni, che girano attorno all’orbita di questa particolare situazione comunitaria della chiesa primitiva, si rendono necessarie.
1) La fede è dono di Dio e non opera di Paolo, il quale sulla scia degli altri apostoli non si frappone tra i battezzati e il Signore. L’unica preoccupazione dell’apostolo consiste nell’annuncio della Parola di Dio, perché coloro a cui essa è destinata siano ben saldi nella fede e la loro gioia sia fondata su Cristo. Prova ne sia che lo stesso Paolo motiva così il suo essere “collaboratore nella gioia: ché quanto alla vostra fede state saldi” (2 Cor 1,24).
2) Nulla si potrà mai realizzare, se l’opera non è fatta con tutta l’anima, tutta la mente, tutta la forza, tutto il cuore… davanti a Dio. Questa convinzione fa sì che Paolo non sia preda ci certe bassezze dei fedeli e sappia soprattutto attendere che la Parola da lui seminata con larghezza e generosità d’animo, operi il suo effetto salutare.
Dopo questa sintetica panoramica, vorrei fare qualche personale “trasposizione” (con i necessari aggiornamenti del trinomio tempo-spazio-comunità) alla nostra realtà locale. Altri, certamente, potranno completare o soppiantare le mie riflessioni. Il tutto tenendo sempre presente “veritatem facientes in caritate “ (Ef 4,15).
Innanzitutto penso che questo sia il tempo propizio (rimpianti del passato o fughe nel futuro non servono a niente e a nessuno) per avvolgere gli sforzi e le attività pastorali di “conversioni comunitarie” (che non escludono quelle personali ma che le presuppongono e le animano) perché la presenza del nuovo amministratore dia slancio al rinnovato impegno missionario, investendo soprattutto gli ambienti e le persone direttamente coinvolte nella pastorale diocesana.
Se mons. Papa si è dichiarato “collaboratore e non padrone”, significa che insieme bisogna progettare e articolare un programma condiviso di interventi “ad intra e ad extra” che abbiano come comune denominatore la riscoperta della gioia dell’annuncio.
Ciò richiederà un “discernimento comunitario nello Spirito” per individuare gli interventi più urgenti al fine di stabilire una gerarchia di priorità, frutti maturi di confronti franchi e fraterni. Si allontani da subito la fretta di chiudere la partita in poco tempo… Paolo di Tarso ha aspettato che la grazia di Dio operasse nei cuori dei restii Corinti.
Un altro snodo cruciale è dato dalla rettitudine d’intenzione con la quale gli operatori pastorali – a diversi livelli e con le specifiche competenze – si cimenteranno nel contagiare tutti gli strati ecclesiali del desiderio di crescere nella costruzione del Regno di Dio, fatto di “verità e vita, santità e grazia, giustizia, amore e pace” (prefazio Solennità di Cristo Re).
Penso infine che sarà un peccato imperdonabile a tutti, sciupare questa occasione di confronto e crescita che ci viene offerta.
Se è vero che la comunità chiede nella preghiera un “pastore secondo il cuore di Dio”, è più certo che il gregge – variegato nella sua composizione – deve essere consapevole della tenerezza che è chiamato a donare alla sua guida, la quale generosamente lo conduce fuori dalla tempesta e gli fa gustare la dolcezza delle acque fresche e tranquille.