Gv 10, 27-30
Inquel tempo Gesù disse:
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola".
di Ettore Sentimentale
Siamo alla quarta domenica di Pasqua e come ogni anno ci viene presentato un brano tratto da Gv 10, il capitolo che tratta del “pastore bello”. E per sottolineare questo stretto rapporto fra Gesù e i pastori nelle Chiesa, in questa ricorrenza ci viene chiesto di pregare per le vocazioni al ministero presbiterale.
Per cogliere nella sostanza la breve pericope riportata, è necessario anteporrealmeno la lettura dei precedenti versetti, partendo dall’inizio del capitolo.
La scena che Gv ci presenta nel brano in oggetto è alquanto tesa e conflittuale. Gesù sta passeggiando dentro il recinto del tempio. All’improvviso, un gruppo di giudei lo accerchia accusandolo con aria minacciosa. Gesù non si spaventa, ma li rimprovera apertamente della loro mancanza di fede: “Voi non credete perché non siete mie pecore” (Gv 10,26). Al termine del discorso di Gesù, l’evangelista chiosa dicendo che “i giudei presero di nuovo delle pietre per lapidarlo” (Gv 10,31). Davanti alla verità chi non sta dalla parte dalla stessa parte, trova nella violenza la soluzione al proprio disagio…
Per provare cosa significa “essere sue pecore” Gesù, coinvolgendosi in tale spiegazione,sottolinea solo due fattori, i più essenziali e imprescindibili: “Le mie pecore ascoltano la mia voce…e mi seguono”. Dopo venti secoli, noi cristiani dobbiamo nuovamente ricordare quel che è essenziale per la Chiesa di Gesù: ascoltare la sua voce e seguirlo.
La cosa principale consiste nel risvegliare la capacità di ascolto di Gesù. Sviluppare sempre più nelle nostre comunità questa sensibilità, presente in molti cristiani sinceri che sanno captare la Parola che viene dal Signore in tutta freschezza e che riescono a sintonizzarsi sul lieto annuncio di Dio. S. Giovanni XXIII disse che “la Chiesa è come una vecchia fontana del villaggio dalla quale deve scorrere sempre acqua fresca”. In questa Chiesa, segnata da profonde rughe (dopo venti secoli è inevitabile) dobbiamo far scorrere l’acqua fresca di Gesù. Se non vogliamo che la nostra fede si vada diluendo in forme decadenti di “religiosità superficiale”, in mezzo a una società che invade le nostre coscienze con messaggi, immagini e pubblicità di ogni genere, dobbiamo imparare a mettere al centro delle nostre comunità la Parola viva, concreta e inconfondibile di Gesù, nostro unico Signore.
Non basta, però, ascoltare la sua voce. È necessario seguire Gesù. È giunto il momento di deciderci se accontentarci di una “religione borghese” che tranquillizza le coscienze ma intorpidisce la nostra gioia o imparare a vivere la nostra fede cristiana come un’avventura appassionante, mentre seguiamo Gesù. L’avventura consiste nel credere ciò che credette lui, dare la stessa attenzione alle cose preferite da lui, difendere la causa dell’essere umano così come la difese lui, essere vicini ai vacillanti e agli emarginati come lo fu lui, essere liberi di fare il bene con il suo stile, avere fiducia nel Padre come la ebbe lui, affrontare la vita e la morte con la stessa speranza con la quale l’affrontò lui. Se alcuni vivono smarriti, soli e disorientati, dovrebbero trovare nella comunità cristiana un luogo ove si apprende a vivere insieme in modo più degno, solidale e libero seguendo il Signore… In questa direzione, così facendo, la Chiesa offrirà alla società uno dei suoi “servizi” migliori.