Lc 24, 46-53
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto". Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
di Ettore Sentimentale
La liturgia odierna è imperniata sul mistero dell’Ascensione di Gesù verso il cielo. In realtà questo brano di Luca è strettamente collegato con l’inizio degli Atti degli Apostoli (1,1-11) nel quale lo stesso autore completa la scena della “benedizione” riportata nella pericope in oggetto. Fra l’altro, sappiamo che il secondo scritto lucano offre uno spaccato della prassi ecclesiale delle prime comunità cristiane senza la presenza “fisica” di Gesù, soffermandosi pure su luci ed ombre della Chiesa nascente.
Fra gli evangelisti, Luca è l’unico che tratta apertamente dell’Ascensione del Signore. Matteo, per esempio, chiude il suo racconto descrivendo una scena di “addio” su un monte della Galilea, durante il quale Gesù dà la certezza di essere con i discepoli “tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Secondo questa espressione, i seguaci di Gesù non avrebbero sofferto della sua assenza dal momento che Gesù aveva garantito la sua presenza perenne fra di loro.
In una prospettiva simile si muove Luca, che approfondisce, però, la verità dell’immanenza perenne di Gesù, descrivendo “come” essa avverrà. Il brano in esame, infatti, dice che Gesù “si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”. I discepoli hanno il compito di accettare questo nuovo “esodo”: Gesù è già vivente nel mistero di Dio, ma torna al Padre mentre benedice i suoi amici. Questi ultimi, quindi, possono iniziare l’avventura missionaria sostenuti dalla stessa vicinanza che si fa “benedizione”. La stessa con cui Gesù curava gli infermi, perdonava i peccatori e accarezzava i piccoli.
La partenza di Gesù “costringe” i suoi discepoli a mettersi in gioco, a camminare sulle loro gambe, ad assumersi le proprie responsabilità. L’addio di Gesù – anche se velato di una tristezza iniziale del tutto naturale – provoca paradossalmente una certa maturità spirituale. I primi seguaci di Gesù portano nella loro anima, ancora “fresca”, l’impronta dello Spirito Consolatore (promesso nel brano evangelico di domenica scorsa).
Oggi, questa esperienza fondamentale dello Spirito, si configura come la “buona notizia”, in un contesto socio-culturale-religioso nel quale rispuntano la paura della creatività e l’immobilismo cristiano.
La tentazione di continuare a vivere la sequela di Gesù in modo infantile…come i bambini aggrappati sempre alla mano del papà o nascosti dietro la gonna della mamma, dovrebbe veramente essere solo un triste ricordo del passato.
L’Ascensione, infatti, segna il dinamismo della svolta: senza la presenza storica di Gesù siamo ormai proiettati nel “tempo dello Spirito”, mistero che contempleremo la prossima settimana, nella solennità di Pentecoste. Di tale festa capitale possiamo, tuttavia, anticipare che la Sua “luce beatissima” ci porta al largo, su strade sempre nuove lungo le quali testimoniare la Sua “dolcissima presenza”.