Di fronte alla crisi economica ai continui flussi immigratori, c’è un forte bisogno di Europa. L’importante discorso di Papa Francesco in occasione del conferimento del Premio Internazionale Carlo Magno, rende attuale la mia lettura guidata dell’ottima raccolta di scritti storici e filosofici di Gonzague de Reynold, “La Casa Europa”, curata da Giovanni Cantoni per la D’Ettoriseditori di Crotone. Il discorso del Papa alla presenza dei principali rappresentanti delle istituzioni europee, rappresenta un programma sintetico per“rifondare l’Europa”, un’esigenza sentita da molti. Il papa apre con il riferimento all’Europa come Casa comune che rinasce dalle “ceneri delle macerie” di ben due guerre mondiali. Dopo aver “strigliato” l’Europa che è come una “nonna stanca e invecchiata”, incapace di integrare, di dialogare e generare, fa riferimento alla memoria storica.“Le radici dei nostri popoli – ha detto -, le radici dell’Europa si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale”.
Questo è ciò che il Papa immagina debba essere il metodo anche oggi che è in atto quella che egli stesso ha recentemente definito «un’invasione». L’Europa sarebbe dunque chiamata a una sintesi tra la cultura dei popoli che attualmente la abitano e quanti stanno arrivando. Inoltre,“E’ necessario fare memoria, – dice papa Francesco – prendere un po’ di distanza dal presente per ascoltare la voce dei nostri antenati”.
Le lezioni di Gonzague de Reynold per rifondare l’Europa.
E un buon sussidio per fare memoria può essere certamente il testo dello storico delle civiltà Gonzague de Reynold,che sto proponendo in questi giorni.
Papa Francesco nel suo discorso accenna al ruolo che deve avere la Chiesa per la “rinascita di un’Europa affaticata”: “l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante. (…) Solo una Chiesa ricca di testimoni potrà ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa”. Mi sembra che è quello che ha fatto la Chiesa dopo la scomparsa dell’impero romano, con i tanti santi, religiosi, monaci, grandi testimoni del Risorto.
Allora la Chiesa per entrare in contatto con i tanti popoli, capì che era“necessario parlare a ogni popolo con la sua lingua, utilizzare per fini religiosi la poesia popolare e le antiche tradizioni, anche se pagane”. In buona sostanza, l’opera civilizzatrice della Chiesa è alla base della civiltà europea, è una tesi abbondantemente sostenuta da Gonzague de Reynold.
“Da sola, a causa della diversità dei suoi popoli, l’Europa era incapace di produrre una civiltà uscita naturalmente dal suo stesso suolo, come fa un albero che ha radici profonde. Gli mancava il comune denominatore di un genio europeo[…] Il comune denominatore fu il cristianesimo. La civiltà europea è un dono del cielo, – scrive Reynold – come la rugiada che cade su un campo ben preparato. La prova sta nel fatto che l’Europa ha cominciato a disfarsi nel momento in cui ha cessato di essere la cristianità”.
La Chiesa salva la società e l’impero.
L’opera politica della Chiesa fu precisamente la cristianità. “Salvare la civiltà non bastava: bisognava salvare l’impero. Salvarlo, o restaurarlo”. Per quale motivo? “Perchè rappresentava l’ordine e la pace, perchè era il grande precedente, perché era ancora così vicino che era impossibile vederlo sparire, perchè la sua conversione al cristianesimo gli aveva assegnato una missione cristiana”.
I barbari non erano tutti uomini di cattiva volontà, o distruttori, non avevano esperienza, si sentivano spaesati, “per quanto forti militarmente, erano soltanto una minoranza barbara in mezzo a una maggioranza civilizzata”. Pertanto, “molto rapidamente furono obbligati a interfacciarsi con la sola potenza che restasse in mezzo alle rovine: la Chiesa”.
Pertanto la Chiesa, i vescovi, senza confonderli con i funzionari politici, diventano i defensores civitatis, i defensores populi. Fu la Chiesa e la pur fragile cristianità che ha permesso la fusione fra Germani e Romani, una necessità interna. Poi occorreva risolvere quella esterna: la difesa contro l’Asia nomade, quella della steppa, degli Unni, Avari, Ungari, Mongoli, Tartari e Turchi, ma anche quelli del deserto, gli Arabi. Tutti premevano sulla nascente Europa. Cosa sarebbe successo se queste forze avessero prevalso? Per Reynold, avrebbero “riportato l’Europa all’erba e alla foresta, costretto gli europei a rifugiarsi nelle caverne del paleolitico”. Siamo ai tempi di Carlo Magno, il nuovo Costantino, quando in pratica fu realizzata la restaurazione del nuovo imperium e infine la realizzazione della stessa Europa.
La Cristianità la più alta concezione politica e sociale realizzata dall’uomo. Reynold qui partendo dalla dottrina teologica, delinea i vari passaggi della cristianità medievale: la Chiesa militante, visibile; le due guide per l’uomo che deve incamminarsi verso la sua fine ultima attraverso la strada della salvezza. Il Papa, e l’imperatore. “Alla Chiesa visibile deve corrispondere l’impero visibile, alla Chiesa militante, l’impero militante”. Entrambi formano una unità organica, come le due nature formano l’unità organica dell’uomo. Per Reynold, l’unità evangelica, deve realizzarsi anche nella società. “Il medioevo era permeato di cristianesimo fino alle radici della sua vita e del suo pensiero. Il cristianesimo era tutto per esso: la civiltà, il diritto, la pace,, lo svago, la bellezza, la gioia e la speranza. Ecco perchè ho chiamato quest’epoca quella della cristianità, preferendola all’etichetta di medioevo[…]”. Per Reynold, la cristianità, nonostante tutti i suoi limiti, rappresenta, “la più alta concezione politica e sociale cui lo spirito umano si sia mai elevato: per la prima volta nella storia ha stabilito la supremazia dello spirituale sul temporale. E’ anche la più coerente”.
La cristianità secondo lo storico svizzero doveva essere, l’età della ricostruzione, ma anche età di sintesi. “I due grandi secoli: XI e XII, hanno visto il fiorire una civiltà uguale e persino superiore a quella greca. Rinascita dell’arte, rinascita della filosofia, rinascita della poesia; rinascita del latino e nascita delle letterature in lingue nazionali; rinascita del diritto:nascita delle città, del commercio, della navigazione, della prosperità. Ci fu allora una vita internazionale; ci fu allora un’Europa”. Dopo questa sintesi come non ricordare la grande studiosa francese Regine Pernoud, che ha dedicato la sua vita allo studio del medioevo.
Tuttavia scrive Reynold, il germe della decomposizione compare addirittura anche durante l’epoca della cristianità. La realtà degli Stati, delle nazioni si scontrava con la necessità dell’impero. “L’idea entrò in conflitto con i fatti”.
La disfatta dell’Europa.
A questo punto il nostro pensatore si dedica alla disfatta dell’Europa e al suo destino.
Dopo il XIV secolo si entra nel periodo vuoto, si cade nel pessimismo, nella disperazione. Si rompe l’unità sociale,“durante l’epoca della cristianità le classi non erano affatto chiuse ma comunicanti; si riunivano in una sincera fraternità cristiana. Ora esse si chiudono e si oppongono”.Pertanto si entra in un’età di disordini sociali, di rivolte contadine, di rivoluzioni urbane. Si arriva alla rottura dell’unità politica e della pace cristiana. “Le restrizioni che la Chiesa aveva imposto al diritto di fare la guerra sono violate; la guerra si estende, diventa cruenta, perpetua; le divisioni tra principi cristiani non cessano più”.Si giunge alla rottura dell’unità intellettuale, dell’unità artistica. “Come sempre – scrive Reynold – quando una società, una civiltà si decompone, da un materialismo stagnante si libera un idealismo evanescente: come i fuochi fatui della palude; ci sono, in effetti, decomposizioni, putrefazioni luminose: ce ne sono molte anche oggi”.
Continuando nell’esposizione delle rotture, Gonzague de Reynold descrive quella più grave: la rottura dell’unità religiosa. Infine come se non bastassero le rotture interne, altre disgrazie si abbattono sull’Europa, si tratta sempre dell’Asia nomade, rappresentata dagli Ottomani, che minacciano di invadere l’Europa. Sembra il nostro quadro che stiamo vivendo oggi. A questo punto le considerazioni di Reynold si soffermano sull’epoca nuova che si sta affermando, quella dell’uomo, la più febbrile della storia. Il suo dinamismo la trasforma in una rivoluzione continua. Il suo ritmo, che accelera continuamente, la trascina inesorabilmente, attraverso una serie di catastrofi, verso il periodo vuoto nel quale giaciamo oggi”.
Ma vi lascio alla lettura del testo.
Domenico Bonvegna
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