di Roberto Gugliotta
Gli Anni di piombo hanno cambiato la storia di questo Paese, diviso una generazione ma, soprattutto, hanno causato molti lutti e tanto dolore. Il picciotto e il brigatista è la sintesi di un grande malessere di una Nazione: non credere più nelle istituzioni e nel domani. Per questo motivo ho sentito la necessità di spiegarlo ai giovani di oggi: si trovano a dover affrontare le stesse problematiche. Ragazzi, dovete sempre credere che c’è una soluzione per tutto ma non ci sarà un futuro per nessuno se si usa come strumento la violenza. Si può fuggire dalla realtà, si può fuggire dalla Rete e si può fuggire mentalmente e idealmente dal carcere, attraverso il tratto di un disegno che risponde a una poesia, la illustra e la fa propria. Evadere, appunto. Oppure sognare di farlo. E’ un romanzo ma è tratto da una storia vera.
Ho cercato di costruire una comunicazione fra due mondi chiusi e isolati, come quelli fra i brigatisti e i mafiosi, dove c’è la prigionia fisica e quella mentale, dove si collegano diverse solitudini che viaggiano parallelamente e che non si sono mai incontrate, se non nello spazio d’una breve amicizia, d’una singolare relazione, d’una rivolta, e, alla fine, d’un libro.
È una forma indiretta di comunicazione che raccoglie una doppia sfida: parlare di un periodo buio e doloroso con umanità. Come se avessi dovuto scrivere una lettera a un detenuto senza sapere nulla di lui – né il nome né il volto né la storia che l’ha condotto dietro le sbarre.
Di certo brigatisti e mafiosi hanno portato qualcosa di sé all’interno del carcere. E questo incontro in differita finisce per rappresentare due modi diversi di fuggire dal mondo che, incidentalmente, si sono incrociati nell’evasione. Sono due isolamenti che non si conoscono, che forse non si guarderanno mai in faccia ma che comunicano fra loro in uno spazio che non ha nulla di virtuale. No, non si può dire affatto che questo luogo di fuga sia virtuale: è lo spazio d’un libro ma è anche qualcosa in più, è lo spazio della realtà umana in cui siamo un po’ tutti prigionieri. Per intervistare le persone occorre conoscere la storia personale e, spesso, nei libri non sempre la verità è rigorosamente rispettata. Noi abbiamo cercato di restare liberi dai pregiudizi: chi eravamo noi per poter giudicare i loro errori? Abbiamo cercato solo di capirne le cause e rimettere al lettore la decisione finale. Il tempo è il giudice più serio che ci sia: nessuno potrà mai corromperlo né modificarne il giudizio.
Chi sono i reali personaggi che si nascondono dietro il brigatista Francesco e il mafioso Vincenzo?
Non sono importanti i nomi ma le storie. Il libro prende spunto da un fatto realmente accaduto, del quale si era parlato in quel periodo: usare la criminalità per giustiziare i brigatisti e far pagare loro con la vita il delitto di Aldo Moro. I mafiosi, i potenti e i doppiogiochisti in doppiopetto sono persone complicate e grigie. Loro tessono trame ardite e intricate. Noi tutti, invece, siamo gente semplice. E allora, tanto per chiarire, non lanciamo la penna in pindarici voli. Ci accontentiamo della lineare semplicità dei fatti. Questi sono i personaggi di questa vicenda italiana. Dove le parole dei mafiosi influenzano il corso della storia.
A un certo punto, dopo il sequestro Moro, gente legata ai servizi segreti aveva proposto a boss mafiosi, Turatello, Buscetta, di costruire nuclei speciali di malavitosi per uccidere una ventina di brigatisti, fra cui Alberto Franceschini e Renato Curcio. Uno si chiamava Tanino Costa, era un boss mafioso di Messina. Rifiutarono perché non si sentivano di ammazzare dei “bravi ragazzi”. Si era creata tra le due organizzazioni una cultura antistatale e veniva rispettata la persona d’onore. I brigatisti si salvarono per miracolo, perché nella mafia le persone di base – parlo del giovane mafioso, di quelli che chiamano “picciotti” – non sono solo malvagie.
Il messaggio importante da lasciare ai giovani
Negli anni Settanta la cultura della violenza era patrimonio di tutti i movimenti: la formula “lo Stato si abbatte e non si cambia” accomunava tutti i movimenti di quegli anni.
Adesso al centro dei movimenti c’è l’idea di costruire nuovi modi di vivere, attraverso il recupero dell’ ambiente, delle relazioni interpersonali; si comprende che la trasformazione della società va agita nel sociale. Oggi si pensa: cominciamo a trovare nuovi momenti di società, poi ci misureremo con lo Stato. Forse il ragionamento è storicamente più difficile, più complesso: è la storia stessa che ci ha chiesto di cambiare.
Chiederei a voi giovani cosa avete da dirmi. A qualcuno sembra che i giovani abbiano poco da dire, non vogliano assumersi le loro responsabilità. A me piace sapere cosa pensate della storia, della vita di oggi.
Mi aspetto di sentire qualcosa da voi. Leggete il mio libro e scrivetemi!