di Antonio Ballarò,
studente di teologia
Ho letto con attenzione ciò che don Ettore Sentimentale ha scritto in una lettera ad Andrea Filloramo e non nascondo un velato senso di tristezza. Certo: la lettera si conclude con un monito di speranza e questo mi consola, tuttavia restano da cogliere in profondità non solo le “provocazioni”, tutt’altro che implicite, ma anche le reazioni che, mi pare, debbano seguire una così accorata confessione a mente aperta.
Don Ettore si sofferma sui numeri di una situazione allarmante. È appurato che la solitudine del prete rappresenti già da diversi anni un problema di cui occuparsi con l’urgenza che viene dal puro senso di umanità. Semplificheremmo il problema se lo riducessimo ad una mera conseguenza del desiderio sessuale, che pure c’è nell’uomo e come tale non va visto in una prospettiva negativa, per questo occorre scandagliare ogni singolo caso, ogni specifica condizione, ogni possibile frangente. Mentre potrebbero suonare come nuove, le riflessioni che sono state proposte, e che evidentemente Filloramo non tralascia nel suo racconto, sono in realtà molto vecchie. Mi viene in mente una preghiera di Niccolò Cusano, conosciuta grazie ad un testo di Eugen Drewermann: «E quando io riposo così nel silenzio della contemplazione, tu, Signore, nel mio intimo più segreto mi rispondi e mi dici: “Sii tuo, ed io sarò tuo!”» (De visione Dei, 7). La vita del prete è anzitutto un continuo rispecchiarsi, un serio rivedersi, un intricato concepirsi. Quando questi passaggi mancano o non avvengono con regolarità, l’essere umano funziona male: si aliena da sé e dal mondo per trovare rifugio nei più disparati valzer dell’illusione.
Il substrato della lettera è presto definito: c’è un vissuto, comune a tutti i preti, per cui sperimentare la solitudine non è solo mera possibilità. È piuttosto un fatto reale, concreto, tangibile. Lo ha ripetuto don Ettore citando quel noto detto popolare che sembra ricordarci come nessuno possa dire di non aver bevuto un’acqua così diffusa. Di fronte ad un contesto che neppure si cura di nascondere i suoi lati angoscianti ma li tiene invece in superficie, ritengo comunque doveroso un appello alla speranza. Medard Kehl, teologo tedesco che, tra le altre cose, si è impegnato nell’analisi di vicende ecclesiologiche che hanno messo in luce tanti punti oscuri, non ebbe alcuna remora nell’affermare che queste situazioni, in una lettura verticale, potrebbero rappresentare le necessarie «doglie del parto» di una nuova e per certi versi sconosciuta forma di Chiesa. Niente infatti impedisce che il futuro sia diverso: società ed ecclesia cammineranno insieme, il «sistema del precotto» scomparirà, il bisogno di una relazione integrale troverà le sue garanzie. Sarà il momento in cui «il lupo dimorerà insieme con l’agnello,la pantera si sdraierà accanto al capretto;il vitello e il leoncellopascoleranno insiemee un fanciullo li guiderà» (Is 11, 6).
I più accorti comprenderanno che non si tratta di affascinanti fantasticherie. Chi crede che Gesù abbia “sposato” l’umano per unirlo al divino sa bene che l’importante resta «cogliere la dimensione pienamente umana del ministero». È questo il passe-partout di cui abbiamo bisogno. Interpretando «la fede nel Cristo essenzialmente come compimento dell’esistenza umana» e motivandola dunque «a partire dalle esperienze dell’umanità» (cfr. E. Drewermann, Funzionari di Dio, 524) si ottiene una più evangelica comprensione del mondo e dei suoi processi. Non si tratta qui di demonizzare il celibato che è, e resta, una vocazione da vivere in pienezza. Si vuole altresì sottolineare la sua portata in una prospettiva nuova, quella delle scelte mature e consapevoli, assunte con il criterio di un santo discernimento che valorizzi anzitutto la persona umana e la sua coscienza.
Non ho letto (ancora) il testo di Andrea Filloramo, eppure conto di farlo al più presto. Finora, comunque, ringrazio tutti coloro che, anche attraverso questo foglio elettronico, hanno permesso una discussione libera e aperta al confronto su temi che non possono restare tabù. Insieme, e con il coraggio della verità, sono certo che il domani splenderà alla luce di un’alba impensata.