di ANDREA FILLORAMO
“Gli uomini viaggiano per vedere chiaramente il posto da cui provengono” questa espressione dello scrittore americano Bill Holm mi è tornata più volte in mente mentre il direttore di IMGPress, due anni orsono in quel di Villafranca Tirrena, mi invitava ad intraprendere quello che considero un interessante viaggio di scrittura sulla situazione della arcidiocesi di Messina, che è stata la diocesi dalla quale provenivo ma che avevo lasciato da ben quaranta anni. Ho accettato l’invito e ho intrapreso il mio viaggio. Non sapevo allora dove sarei arrivato, non sapevo bene chi avrei incontrato nel percorso anche se lo immaginavo in qualche modo, ma alla fine sapevo che mi sarei sentito arricchito perché avrei imparato tante cose sul quel mondo che sicuramente era cambiato da quando l’avevo lasciato ma proprio là avrei fatto sentire reale la mia voce. Ed era solo questo quello che contava per me. Per scrivere, quindi, i miei “pezzi” ho confidato in alcuni amici con i quali avevo mantenuto i contatti, che precedentemente mi avevano informato dei problemi dei preti e che sicuramente erano disponibili a darmi una mano in quel lavoro non certamente facile, dato oltretutto il fatto che abito molto lontano da Messina con la quale, però, posso anche sempre connettermi attraverso gli strumenti tecnologici. Questi amici se prima erano soltanto quattro, con il tempo divennero ben quarantasei, quasi tutti – e ciò mi dispiaceva – volutamente e ossessivamente “ sine nomine”. I problemi, dei quali loro scrivevano o mi parlavano negli incontri che avevo nei miei “ritorni” a Messina, consistevano particolarmente nella mancanza di rapporti o in cattivi rapporti con il loro arcivescovo. In particolare allora essi dicevano che il loro arcivescovo non aveva la stoffa del pastore, che era invidioso dei suoi preti, che amava metterli l’uno contro l’altro, che li trasferiva da una parrocchia all’altra come se fossero dei pacchi postali, che addirittura nel caso in cui avessero rimandato il trasferimento, li minacciava di chiamare i carabinieri, che si circondava di “leccapiedi”, che gratificava anche per comprare il loro silenzio ed altro ancora. Cose sicuramente gravi per un vescovo. Nei miei primi articoli, pertanto, accennavo soltanto a tali problemi ma non mi spingevo più di tanto per affermare che la diocesi andava alla deriva con un vescovo incapace vuoi per mancanza di esperienze pregresse pastorali o per difetti personali o per altri motivi che in seguito emergeranno. Mi sono sempre impegnato a invitare i preti al dialogo, alle confidenze con il vescovo, alla trasparenza. L’invito, talvolta larvato, talvolta anche esplicito lo facevo all’arcivescovo che, attraverso uno che diceva di essere un suo collaboratore, mi faceva sapere, con un’email anonima, che nella diocesi, non c’erano problemi e che “i panni sporchi, qualora ci fossero stati si dovevano lavare in famiglia ed io da molto tempo non appartenevo alla famiglia”. Che ipocrisia! Che chiusura mentale! Secondo, quindi, il vescovo o secondo il suo collaboratore o secondo ambedue, all’interno del palazzo vescovile o della curia poteva accadere di tutto ma nulla doveva trapelare all’esterno. Questa filosofia, ovviamente, generava omertà, abbassava o annullava il tasso di trasparenza e di equità, creava separatezza, ma nello stesso tempo, però, faceva comprendere i motivi della “paura” dei preti, del loro silenzio, della loro omertà e del bisogno che hanno sentito, ad un certo punto, di confidarsi con me, che come esterno, mi ero assunto la responsabilità di scrivere della loro “sofferenza” che diventava sempre più grave. Alla luce di tutto ciò possono essere spiegati i miei articoli, particolarmente quello riguardante il “caso Sinitò”, la questione della “Casa del clero”, cancellata dal vescovo attraverso una transazione oscena, quelli riguardanti il “buco” economico della diocesi, negato dall’arcivescovo ma non dopo le sue dimissioni dall’Amministratore Apostolico Raspanti e dall’attuale Amministratore Papa, che cerca di capire come è avvenuto e non ne trova ancora le ragioni. Ma andiamo oltre e arriviamo al 24 settembre 2015 quando l’arcivescovo improvvisamente dava le dimissioni dalla diocesi – ha detto- per motivi di salute, ma nessuno gli ha creduto. Il motivo, infatti,era diverso e quella volta “ i panni sporchi” non sono stati lavati in famiglia ma a Santa Marta o nei Palazzi Pontifici. Mi si conceda di essere molto rapido in ciò che un prete diocesano vuole che, attraverso me, si sappia: era il mese di maggio/giugno del 2015, quando volendo egli sgravare la sua coscienza per un segreto affidatogli, inviava direttamente a Papa Francesco una lettera nella quale chiedeva un intervento immediato nei confronti dell’arcivescovo. Il motivo di questa richiesta era dato da un testamento pubblico, che nominava erede universale ed esecutore testamentario il vescovo, fatto dal dottor B. e da un biglietto, sicuramente autografo, scritto con mano tremante e incerta dallo stesso dottore alcuni giorni prima della morte con cui egli riferiva “qualcosa” che fino allora aveva tenuto nascosta. Copia della lettera e del “biglietto”, quel prete, dopo le dimissioni del vescovo, ha dato “brevi manu” ai due Amministratori Apostolici che si sono succeduti nell’arcidiocesi. E’ certo, quindi, il fatto che i motivi della dimissione del vescovo non siano quelli di salute, che senz’altro è florida, tanto da farlo viaggiare fra Messina e Roma, di tornare a Messina per celebrare un rito di ordinazione in una parrocchia della città, ma i tanti problemi conosciuti dalla Santa Sede e, per ultimo, la richiesta di quel sacerdote, alla quale Papa Francesco non poteva rimanere indifferente. Si spera veramente che questa brutta storia si chiuda definitivamente. Si auspica che i preti che cominciano a respirare aria bella e pulita della nuova primavera augurata dall’attuale Amministratore Apostolico, gli diano una mano nel ripulire la diocesi dalle “scorie” della vecchia gestione. Esse sono tante. Che l’aria sia cambiata è ormai cosa certa. Lo dimostra il fatto che un giovane prete, in un recente incontro del clero, chieda formalmente di “partire da zero”, di fare, cioè “piazza pulita” di tutti gli incarichi diocesani. Ciò potrebbe essere un segnale chiaro di risveglio di una chiesa locale che merita, assieme al suo clero, di rinascere a vita nuova, attualmente con l’amministratore Apostolico Mons. Benigno Papa e in seguito con un vescovo che il Papa sceglierà.