Lc 10, 38-42
Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: "Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". Ma il Signore le rispose: "Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta".
di Ettore Sentimentale
Il brano che la Chiesa ci propone per questa settimana è fin troppo conosciuto, a tal punto che lungo il corso dei secoli la riflessione dei credenti ha maldestramente contrapposto l’azione alla contemplazione, affermando – a senso unico – la superiorità della prima a discapito della seconda, sebbene alcuni esponenti illuminati abbiano cercato di articolare insieme il dritto e il rovescio della medaglia, proponendo slogan intriganti e percorsi praticabili per moltissime generazioni di cristiani. Volendo racchiudere l’evoluzione in tre momenti, penso si debbano nominare: Benedetto da Norcia (“ora et labora”), Ignazio di Loyola (“contemplativo in azione”), Tonino Bello (“contemplattivo”).
Dovrebbero essere finiti i tempi (e me lo auguro!) della pura contrapposizione, periodi storici che hanno visto su un piedistallo i gruppi dediti alla preghiera a detrimento di quelli a “vocazione sociale”; se volessi ulteriormente sintetizzare (ma con il rischio di banalizzare), potrei dire dell’antitesi (dal sapore legalista) fra clero e laici.
Per chiarirci le idee sul contenuto di questa pagina, penso sia utile ricorrere a un altro passo dello stesso autore ma presente in Atti 6,1-7, laddove Luca racconta che “i discepoli di lingua greca mormorarono perché venivano trascurate le loro vedove dal servizio sociale quotidiano” a causa della enorme mole di lavoro degli apostoli. Costoro ne prendono coscienza e concludono che non è giusto per loro “lasciare da parte la parola di Dio per servire alle mense”. Decidono quindi di delegare il servizio “ristorazione” a sette persone. Così facendo gli apostoli risolvono la tensione fra il servizio alle mense e quello alla parola di Dio.
Qui si impone una prima considerazione “paradigmatica” circa il racconto di Marta e Maria: il ruolo di quest’ultima che Gesù intende sostenere, è lo stesso di quello degli apostoli in Atti 6,4? Cioè, una donna può ricoprire la stessa funzione rilevante di un apostolo? A questa domanda Luca risponde senza alcun tentennamento: sì. D’altronde tutto il suo racconto è contraddistinto dal “trattamento privilegiato” che accorda a diverse donne, cominciando da Maria di Nazareth, la madre di Gesù. Nel dibattito (sempre attuale) sul posto della donna nella Chiesa, il 3° evangelista avrebbe molte cose da dire. E, a mio modesto avviso, la tensione fra l’atteggiamento di Marta e quello di Maria, plasticamente rappresentata dal rimprovero della prima nei confronti di Gesù, riflette molto bene una situazione conflittuale (spesso ben camuffata) nella Chiesa di ieri (vedi comunità di Corinto) e di oggi (vedi la domanda dell’Unione Internazionale SuperioreGenerali circa la possibilitàdi consentire alle donne l’accesso al diaconato permanente formulata a papa Francesco il 12 maggio u.s.).
È chiaro che il nostro breve ma incisivo racconto contiene molto più di una semplice affermazione sull’organizzazione dei ruoli nella Chiesa, sebbene questa sia importante.
Cosa potrebbe rappresentare Marta, questa donna super occupata, presa dall’angoscia di condurre a buon fine ogni iniziativa e che non riesce ancora a comprendere che non tutte le occupazioni (o preoccupazioni) del mondo possono andare nella stessa direzione? Penso che Marta racchiuda le caratteristiche di molti di noi, quando ci sentiamo schiacciati dal lavoro, tentati a tenere tutto sotto controllo, tenuti in ostaggio dalle responsabilità, inquieti sull’avvenire, angosciati dal futuro che attende i nostri giovani…
In questo orizzonte ermeneutico non è difficile scorgere da un lato le Chiese locali, abitate da chierici e laici che si buttano a capo fitto sul lavoro, certi di fare un servizio alla pastorale sperando che nasca una “Chiesa altra”.
In questo panorama trovano posto anche folle immense di persone impegnate in mille attività…per fuggire il vuoto presente.
Questa visione dalle tinte contrastanti sfocia in una sfida, quella di determinare ciò che vale la pena fare o meno, ciò che è sommamente importante da ciò che è irrilevante… il tutto avvolto dall’approccio sia umano chespirituale.
Per Luca, è l’unione interiore con Gesù, tanto nella preghiera che nella riflessione, ciò che lui chiama “ascolto della Sua parola”, che offre lo slancio necessario nel confronto quotidiano con la vita. Così le cose prendono il loro senso veritiero e ciò determina facilmente il crinale fra la “parte migliore” e quella che non lo è.
È la Maria che è in noi che permette di integrare correttamente la Marta che si agita attorno a noi. Fuori da questa logica, non faremo altro che agitarci e passare la nostra vita a fare cose inutili.
Il volto nuovo della Chiesa sarà un mosaico composto da infinite tessere nelle quali possiamo intravedere il nostro significativo contributo e nascerà da questi lunghi momenti di ascolto.