Ancora oggi non si comprende perchè c’è più letteratura relativa al fascismo che all’esperienza del totalitarismo sovietico comunista. Basta frequentare una qualsiasi libreria per constatare l’evidente disparità. L’ottimo studio di Richard Pipes, “Il regime bolscevico”, Mondadori (1999) cerca di rispondere anche a questo quesito. Intanto perchè per gli storici di sinistra e poi all’interno dell’Urss, il fascismo è stato considerato l’antitesi del socialismo e del comunismo. Un altro motivo per Pipes è perchè per molto tempo agli occidentali rimase nascosta la vera natura del regime comunista e peraltro è stato studiato poco, almeno durante le due guerre. Un terzo fattore che impedì di analizzare l’influenza del bolscevismo su fascismo e nazionalsocialismo,“fu la determinazione con cui Mosca riuscì a bandire dal vocabolario del pensiero “progressista” l’aggettivo “totalitario”, in favore di “fascista”, per descrivere tutti i movimenti e i regimi anticomunisti”.
Il Komintern decise che si applicava il termine “fascista” a tutte le dittature in Europa, comprese quelle “benigne come quelle di Antonio Salazar in Portogallo e di Pilsudski in Polonia”, sempre secondo il Komintern tutte erano prodotte dal “capitalismo finanziario” e strumenti della borghesia.
Le prime analisi del fenomeno totalitario del regime comunista furono effettuate dagli storici tedeschi, che avevano avuto l’esperienza del nazismo. Anche se poi questi storici sono stati tutti aggrediti verbalmente, ma anche in altri modi come Renzo De Felice, perchè avevano avuto la temerarietà di associare in qualche modo Mussolini o Hitler con il comunismo.
Mussolini e Hitler simili a Lenin.
Lo storico americano di origini polacche, risponde alla domanda perchè è importante lo studio del fascismo italiano e del nazionalsocialismo tedesco in relazione alla rivoluzione russa. Formula almeno tre motivi.“Innanzitutto, Mussolini e Hitler si servirono dello spettro del comunismo per terrorizzare la popolazione e convincerla a conferire loro poteri dittatoriali. In secondo luogo, entrambi impararono moltissimo dalle tecniche bolsceviche, quando crearono un partito fedele alla loro persona per prendere il potere e instaurare una dittatura monopartitica. Sotto entrambi gli aspetti il comunismo influenzò più il ‘fascismo’ che il socialismo e il movimento sindacale. E in terzo luogo, la letteratura sul fascismo e sul nazionalsocialismo è più ricca e più sofisticata di quella sul comunismo: conoscerla aiuta a comprendere assai meglio il regime prodotto dalla rivoluzione russa”.
Certo non si può dire che il fascismo e il nazismo siano stati “provocati” dal comunismo. Però si può sostenere che“tutti gli attributi del totalitarismo avevano antecedenti nella Russia di Lenin: un’ideologia ufficiale onnicomprensiva; un partito unico di eletti, guidato da un ‘capo’ che dominava lo stato; il terrore poliziesco; il controllo dei mezzi di informazione e delle forze armate da parte del partito dirigente; il controllo centralizzato dell’economia[…]” Pipes è ancora più preciso nelle somiglianze delle ideologie del Novecento:“Nessun eminente socialista di prima della grande guerra somigliava più a Lenin di Benito Mussolini. Come Lenin, Mussolini dirigeva l’ala antirevisionista del partito socialista del suo paese[…]Avrebbe potuto benissimo diventare un Lenin italiano, se non si fosse fatto espellere dal PSI nel 1914[…]”. Mussolini allo stesso modo di Lenin risolse il problema di fare la rivoluzione senza avere dalla loro parte la classe degli operai, vi riuscirono,“ricorrendo alla creazione di un partito elitario che instillasse nei lavoratori lo spirito della violenza rivoluzionaria”.
Pipes ci informa che Mussolini “non nascose mai la propria simpatia e ammirazione per i comunisti, nemmeno come capo dei fascisti: aveva un’alta opinione dell’energia brutale’ di Lenin, e non trovava nulla da obiettare per i massacri di ostaggi compiuti dai bolscevichi”. Addirittura, “riconosceva con orgoglio il comunismo italiano come una propria creatura”.
Le rivoluzioni di “destra” e di “sinistra”.
Pipes dai suoi studi fa emergere che sbagliano quelli che hanno considerato quella del fascismo e del nazionalsocialismo non rivoluzioni, ma insurrezioni nazionalistiche. Invece sono delle vere rivoluzioni che magari possono essere definite di “destra”, che si scontrano con quelle di “sinistra”, ma“il fatto che i due schieramenti si contrappongo come nemici mortali deriva dalla competizione per la conquista di una massiccia base, non dal disaccordo su metodi e obiettivi”. Sia Hitler che Mussolini si consideravano rivoluzionari, per Rauschining, il nazionalsocialismo era più rivoluzionario del comunismo o dell’anarchismo.
Ma l’affinità più significativa fra i tre movimenti totalitari, secondo Pipes, riguarda l’ambito psicologico:“il comunismo, il fascismo e il nazionalsocialismo esacerbavano e sfruttavano il risentimento popolare di origine classista, razziale ed etnica, per conquistare l’appoggio delle masse e confermare l’idea che fossero loro, e non i governi democraticamente eletti, a esprimere realmente la volontà del popolo. Tutti e tre facevano appello al sentimento dell’odio”. Peraltro secondo il grande storico francese Pierre Gaxotte, nel libro,“La rivoluzione francese” scrive che furono i giacobini per primi a comprendere le potenzialità politiche del risentimento di classe. Poi Marx partendo dallo studio della rivoluzione francese e delle sue conseguenze formula “la teoria della lotta di classe come caratteristica dominante della storia”.
Pertanto, secondo Pipes,“i movimenti rivoluzionari, siano essi di destra o di sinistra, devono avere un bersaglio da odiare, perchè è immensamente più facile indurre le masse a schierarsi contro un nemico visibile che in favore di un’astrazione”.
Pipes descrive come era considerato il partito per le tre organizzazioni totalitarie, i veri partiti tradizionali cercano di accrescere il numero degli iscritti, quello comunista, fascista, nazista “erano elitarie per natura”. L’ammissione non era facile, assomigliavano a confraternite.“Il modo in cui il Partito bolscevico, quello fascista e quello nazista si impadronirono dell’amministrazione nei rispettivi paesi fu praticamente identico”. Certo Pipes fa delle distinzioni, per quanto riguarda la liquidazione degli oppositori dei regimi, benchè Mussolini si pronunciasse a favore della violenza,“il suo regime, rispetto a quello sovietico e a quello nazista, era davvero moderato e non ricorse mai al terrore di massa”.
La manipolazione delle masse nei regimi totalitari.
Sono interessanti le considerazioni di Pipes sull’espropriazione politica del popolo che in pratica non partecipava a nessuna attività politica, non aveva alcuna voce nelle vere decisioni politiche. Esisteva il surrogato della partecipazione. Questi surrogati per Pipes erano di due generi: “’elezioni’ farsa, in cui il partito al potere si aggiudica regolarmente il novanta per cento o più dei voti; e grandiosi spettacoli che creano l’illusione del coinvolgimento di massa”. Infatti si ricorre alle parate, alle adunate, ai spettacoli teatrali all’aperto, cose che hanno fatto per primi i giacobini.
“Le masse erano manipolate”,“la folla diventava una personalità collettiva specifica”, atti spiegati molto bene dal sociologo Gustave Le Bon in un libro, “Psicologia delle folle”, letto da tutte e tre i nostri capi partito. Pipes riconosce quei metodi, nell’occupazione di Fiume dal poeta-politico Gabriele D’Annunzio,“il susseguirsi dei festeggiamenti in cui D’Annunzio svolgeva il ruolo del protagonista doveva abolire la distanza tra il capo e i suoi seguaci, e i discorsi dal balcone del palazzo municipale alla folla sottostante (accompagnati da trombe) avevano lo stesso scopo”. Sia Mussolini che gli altri dittatori moderni “consideravano questi metodi indispensabili, non per l’intrattenimento, ma come rituali destinati a dare agli oppositori e agli scettici l’impressione di un legame inscindibile fra governanti e governati”.
Nelle adunate, nei raduni o spettacoli all’aperto, sono stati insuperabili i nazisti, come non ricordare tutti quegli “uomini in uniforme allineati come soldatini di piombo”.
La distinzione tra regimi autoritari e totalitari.
Concludo il mio studio, che doveva essere un articolo, con la puntuale distinzione dello storico americano, tra l’”autoritarismo” e il “totalitarismo”. Tra i regimi autoritari e quelli totalitari di Lenin, Hitler e Mussolini, anche se quest’ultimo per alcuni studiosi può essere catalogato in quelli autoritari. Pipes riferendosi agli studi di Karl Loewenstein, così distingueva i due sistemi:“[…]Di regola il regime autoritario si limita al controllo politico dello stato senza aspirare alla dominazione totale della vita socioeconomica della comunità…Il termine ‘totalitario’ invece si riferisce al dinamismo socioeconomico, al modo di vivere di una società statalizzata[…]”.
Tuttavia per Pipes, la distinzione fra i due tipi di regimi antidemocratici è fondamentale per capire la politica del XX secolo. E polemicamente così si pronuncia:“Solo per una persona irrimediabilmente intrappolata nella fraseologia marxista-leninista potrebbe risultare difficile comprendere la differenza fra la Germania nazista e, diciamo, il Portogallo di Salazar o la Polonia di Pilsudski. Contrariamente ai regimi totalitari, che cercano di modificare alla radice la società esistente e persino di rifare l’uomo, i regimi autoritari sono difensivi, e in questo senso conservatori. Nascono quando le istituzioni democratiche, sopraffatte da interessi politici e sociali inconciliabili, non riescono più a funzionare come si deve. In fondo – scrive Pipes – sono degli strumenti per prendere decisioni politiche con maggiore facilità”.
In particolare i governi autoritari per governare fanno riferimento alle “fonti tradizionali di supporto, e ben lungi dal tentare di impegnarsi nell’ingegneria’ sociale, cercano di conservare lo status quo”. Infatti scrive Pipes in tutti i paesi, ogniqualvolta i dittatori autoritari sono morti o sono stati spodestati, i loro paesi non hanno avuto grandi difficoltà nel restaurare la democrazia. Si veda il caso Augusto Pinochet in Cile o quello di Francisco Franco in Spagna.
Pertanto e concludo veramente, in base a questi criteri per Pipes, “soltanto la Russia bolscevica all’apice dello stalinismo può essere definita uno stato totalitario pienamente sviluppato”. Forse neanche la Germania nazista, nonostante copiasse i provvedimenti bolscevichi, “non fu all’altezza di quanto Lenin aveva progettato e Stalin realizzato”.
Il libro di Pipes affronta anche la guerra del bolscevismo alla religione, un tema che meriterebbe essere affrontato, lo faremo in qualche altra occasione.
Domenico Bonvegna
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