Ricevo da redan@tiscali.it la seguente email, nella quale fra l’altro c’è scritto: “ ….. il tuo richiamo alla trasparenza, non riceve, come vedi, nessuna risposta…..cosa ne pensi?”.
di Andrea Filloramo
Rispondo alle tue richieste così come posso, prendendo a piene mani dalla mia esperienza e da quella dei miei amici che mi informano di ciò che avviene a Messina e mi danno l’imput per scrivere su questo giornale. Le mie risposte sono contenute in questo articolo che, per sua natura, è un monologo, che diviene, però, un dialogo simulato se immagino d’essere con te che mi poni delle domande su un determinato argomento. L’argomento che tu mi offri per una ipotetica discussione è la mancata trasparenza di quel che è avvenuto a Messina durante l’episcopato di Calogero La Piana, trasparenza da me invocata continuamente. Purtroppo, però, e me ne dispiaccio, la mia è stata una voce gridata nel “deserto”, inascoltata da chi ritengo avesse il dovere di ascoltarla, anche se proveniente da chi da tanto tempo non appartiene al clero messinese. Il mancato ascolto non è certamente causato dal fatto, come ha scritto qualche prete, non molto intelligente, che con i miei articoli, in cui ho invocato la trasparenza, io abbia voluto “togliermi qualche pietra dalle scarpe”. Sicuramente quel prete, autore di quel post, appartiene alla categoria mai tramontata dei “leccapiedi”, che con il suo intervento, sperava, allora, di ottenere dei benefici dal suo vescovo, oggi emerito, che però non ci sono stati. Quel parroco, allora, non sapeva, non conoscendomi, che “che non ho avuto mai pietre nelle scarpe” e, inoltre, che non avevo nulla a che vedere con il suo ex vescovo, di cui ho sempre rispettato il ruolo. Quel prete non ha pensato, oltretutto, che avere pietre nelle scarpe per quaranta anni, sarebbe stato per me un fatto masochistico intollerabile. Auguro di cuore a lui d’essere un bravo prete. Andiamo adesso alla mancata trasparenza, di cui fino ad oggi non si vede neppure l’ombra. Intendo per “trasparenza” la mancanza di opacità in tutto quel che si fa, il non nascondere, il non dire “menzogne”, il non essere omertosi, il vivere all’interno di un “palazzo di vetro” dove tutti, in ogni momento possono vedere come si gestisce quel che appartiene a tutti, il “rendicontare”, che è un atto democratico e di democrazia la Chiesa, le diocesi e le parrocchie hanno tanto bisogno. In parole povere: “essere onesti”. Vista in tal modo la trasparenza, quindi, è una virtù morale e il “rispecchiamento” di tante virtù. Purtroppo dobbiamo dire che la trasparenza nel passato non è esistita nella Chiesa e i preti e i vescovi della trasparenza non hanno avuto la necessaria formazione, e sono stati educati, quindi, alla segretezza, al non dire, al non sapere, all’ipocrisia. Per occultare ciò che doveva tenersi nascosto era per loro lecita la menzogna, ritenuta una mera “restrizione mentale”. Così, a mio parere, si può spiegare il comportamento diMons. La Piana, nella famosa conferenza stampa dopo le sue dimissioni, avvenute – diceva – per motivi di salute, quando giustificava la transazione di denaro pubblico a favore di preti e parrocchie e quando negava il “buco” di parecchi milioni della diocesi, tranne poi essere smentito dall’amministratore apostolico Raspanti, che lo quantificava in 4 milioni. Che dire, poi, dell’eredità Bertolami fatta non alla diocesi ma al vescovo emerito come persona fisica, da lui negata, i cui atti pubblici erano conosciuti da tanti, già prima delle dimissioni? Si può avere, a distanza di un anno del buco e dell’eredità un dettagliato resoconto, anche per “smorzare” le chiacchiere e i pettegolezzi che mai in questi casi mancano? Che dire, poi, della transazione relativa alla casa del clero? Probabilmente toccherà al nuovo arcivescovo la soluzione dei problemi creati da La Piana. A noi, purtroppo, ci resta di aspettare.