di VINCENZO ANDRAOUS
Come è possibile raccontare la morte, quando chi la mette in scena è una innocente, un’adolescente presa per il bavero dalla maleducazione, dalla violenza di qualche miserabile castrato mentale. Una giovane “decide” di uccidersi per l’incuria delle leggi e delle persone malate dentro il cuore, obbligata alla vergogna e costretta alla paura di esistere, inebetita dai tanti e troppi storpi emozionali. Un’altra adolescente poco più che bambina, violentata per anni, in silenzio per la vergogna, per la paura imposta da un’omertà dilagante.
Nel frattempo questi grandi uomini, protagonisti assoluti di infamie inenarrabili, divenuti dis-umanità dannatamente andata a male, ebbene che fanno? Camminano con le gambe larghe e le mani in tasca, come a voler significare che tanto ogni cosa permane al suo posto, soprattutto l’indifferenza e la ferocia indicibile profusa dai soliti noti sibilanti nei social network.
Invece proprio un bel niente è più al suo posto, neppure rappresentare il genere umano in queste circostanze profondamente codardiane, dove, appunto, la viltà, raggiunge devastazioni così profonde, da risultare inconoscibili a ogni più fervida immaginazione, peggio, a ogni più indegna giustificazione.
Fin troppo facile esorcizzare il fattaccio asserendo che sono episodi che investono il mondo giovanile dalla notte dei tempi, dunque il modo migliore per affrontare questo suicidio generazionale è parlarne poco e sottovoce, per non creare moltiplicazioni emulative.
Balle grandi come un grattacielo.
Non c’è giorno in cui scorrendo le pagine di un quotidiano non leggiamo di un’operazione di Polizia che riguarda reati inaccettabili come questi.
Farne perno a difesa di coscienza, conquista di coscienza, equilibrio di coscienza, è un imperativo che va portato avanti senza indugi e senza tregue di comodo in famiglia, nelle classi di ogni scuola, negli oratori, occorre farlo in maniera progettuale, preventiva, non solamente quando qualcosa sconvolge il nostro bel quieto vivere e ci ritroviamo davanti alle gabbie di partenza con le inferriate spalancate.
Per evitare qualche dispiacere domani, è meglio parlarne oggi con la determinazione di chi sa quanto dolore reca la violenza, quanta sofferenza straripa dal rimpianto che cresce per un mondo falsificato e adagiato su mille bugie.
Non è un quadro sociale inventato, è quello che accade in ogni città, in ogni periferia, un’attualità che non serve rimpicciolire e neppure ingigantire, ma trattare con interventi coerenti, per comprendere quanto diseducativo può diventare il tentativo di lenire un dolore lacerante con la divulgazione di verità contraffatte, bicipiti di cartone, confronti falsati dall’ignoranza, soprattutto nella fragilità che traspare dalle risposte da consegnare ai più giovani.