Dio è tenerezza

di Ettore Sentimentale

Siamo giunti alla fine di questo anno contrassegnato dalla misericordia di Dio come balsamo per le miserie umane. Non per nulla papa Francesco ha di recente pubblicato la lettera apostolica “Misericordia et misera”, prendendo spunto dal commento di S. Agostino nel descrivere il faccia a faccia fra Gesù e l’adultera (cfr. Gv 8, 1-11). Sarebbe bello se tutti i cristiani leggessero questo scritto dagli accenti teneri con cui il papa svela la profondità del suo cuore.

Vorrei quindi articolare questa lettera proponendovi una breve riflessione su ciò che sta alla base della misericordia divina: l’amore, essenza stessa di Dio.

Per farlo mi servo delle parole di un canto della comunità ecumenica di Taizé, mèta di molti pellegrinaggi soprattutto giovanili. Fra i tanti canoni che ostinatamente vengono ripetuti ve n’è uno molto bello e intenso nelle parole e nella musica: “Dio non può che donare il suo amore, Dio è tenerezza, Dio che perdona…”.

Se volessimo ricercare il sottofondo di queste parole, potremmo rifarci a quanto fr. Roger, priore della comunità, ha detto durante il “pellegrinaggio internazionale” svoltosi a Parigi dal 28 al 31 dicembre 2002, davanti a circa 80.000 giovani presenti stabilmente in quei giorni: “…Nel Vangelo alcune parole di Gesù Cristo sono di chiarezza estrema: «Vi lascio la mia pace, vi dono la mia pace, non sia turbato il vostro cuore e non abbiate paura….». Sappiamo che sempre esistono alcuni credenti segnati da una paura segreta di Dio? Costoro dicono: Dio mi giudicherà con severità. Pensare che Dio potrebbe usare la severità contro l’essere umano crea uno dei più grandi ostacoli alla fede in Dio. Quando leggiamo il vangelo, la cosa più accattivante è scoprire che Dio è amore, solamente amore”.

È vero che nei vangeli troviamo anche delle pagine nelle quali Gesù manifesta una certa severità di Dio verso gli uomini, tuttavia il fulcro del messaggio evangelico ruota attorno all’amore, essenza stessa di Dio, come leggiamo in 1 Gv 4,16: “Dio è amore”. Da questa citazione, se ben ricordiamo, il papa emerito Benedetto XVI ha tratto il titolo per la sua prima enciclica nel 2005: “Deus caritas est”.

In questa linea di indagine, mi sembra alquanto azzeccata l’intuizione che François Varillon presenta in “Gioia di credere, gioia di vivere”, EDB 1984. Benché si tratti di testo datato, mi sembra ancora attualissimo. Scrive il gesuita francese: “…Dire che Dio è Amore, vuol dire che Dio non è che Amore […] Dio è l’Onnipotente? No, Dio non è che Amore, non venite a dirmi che è Onnipotente […] Dire che Dio è Onnipotente è porre come sfondo una potenza che può esercitarsi attraverso la dominazione, attraverso la distruzione […] E tutte le volte che usciamo dalla sfera dell’amore noi ci inganniamo su Dio e siamo sul punto di fabbricare un so che di Giove” (pp.28-29).

Sono sicuro che qualche passaggio possa suonare un po’ duro alle orecchie di chi settimanalmente professa “Credo in un solo Dio, padre onnipotente”. Guardando dentro il pensiero di questo teologo, penso sia facile scorgere che l’onnipotenza divina professata nel Credo sia l’Amore invincibile, reso tale dall’inconsistente difesa con la quale il Figlio rende immediato il volto del Padre non opponendo alcuna resistenza a chi lo uccide.

La scena evangelica che risalta subito alla mente è quella di Gesù che muore in croce e chiede al Padre di perdonare i suoi carnefici (cfr. Lc 23,34).

Se dovessi proporre un’attualizzazione di questo messaggio, non avrei alcun dubbio nel presentare la vicenda, risalente a circa 20 addietro, dei sette monaci trappisti dell’abbazia di Tibhirine barbaramente rapiti e uccisi dai guerriglieri. I martiri hanno testimoniato come sia possibile prendere le distanze da certa “mistificazione di onnipotenza divina”: calarsi nel dinamismo di un Dio “pura onnipotenza”, all’uomo fa correre il rischio di proiettare sui propri simili la propria volontà di potenza, con tutte le conseguenze del caso.

Al fondo di questo passaggio c’è una semplice constatazione biblica neotestamentaria: il vero Dio si manifesta all’uomo per la sua bontà piuttosto che per la sua potenza.

Diceva Simone Weil, filosofa, mistica e scrittrice francese: “La verità più essenziale concernente Dio è che Dio è buono prima di essere potente” (“Lettera a un religioso”, Borla, Torino 1970, 13).

In questi giorni, infine, mentre riviviamo il mistero dell’«Umiltà di Dio» (è il titolo di un altro libro di François Varillon), dovremmo essere capaci di scorgere che proprio la Sua debolezza diviene la sfida etica per l’uomo di ogni tempo, soprattutto in questo presente.