Il Signore è mia luce e mia salvezza

Dal Salmo 27
Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?

Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.

di Ettore Sentimentale

Il ritaglio del salmo 27 (vv. 1.4.13-14), proposto dalla liturgia della III Dom. del tempo ordinario “A”, presenta delle inevitabili difficoltà di comprensione profonda dovuta all’omissione della parte centrale del poema. Tuttavia, nella stringatezza del testo, troviamo almeno gli elementi fondamentali in vista di una riflessione che non svilisca la sostanza. Rimando in ogni caso alla lettura completa del salmo in oggetto o dalla Bibbia o da un comune salterio.
Il leitmotiv della preghiera del testo è offerto dall’esordio solenne nel quale l’autore confessa la propria fiducia, colma di gioia, che proviene dal Signore, definito: “luce, salvezza, difesa”.
Da qui traspare il collegamento diretto alla prima lettura della messa (Is 8,23b-9,3: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce…”), cui il nostro salmo risponde: il riferimento è immediato e puntuale.
A ciò si aggiunga che in chiave simbolica, la “luce” rimanda alle dimensioni trascendenti e immanenti di Dio. In tale direzione si possono rileggere le pagine bibliche della creazione (Gn 1) e il prologo di S. Giovanni (Gv 1).
Dopo questa caratterizzazione, il salmista passa a descrivere il Signore come “salvezza”, perché evidentemente ha sperimentato che Dio lo ha liberato da situazioni angoscianti. L’allusione è all’esperienza dell’Esodo e avari altri interventi con i quali Adonai ha strappato il popolo eletto dalle mani dei nemici.
Da notare – così come suggerisce G. RAVASI, Il libro dei salmi, I, EDB 1986, 501 – che “per la prima e unica volta in tutto L’AT si trova la formula «mia salvezza»”. Un aggettivo possessivo che dice appartenenza, familiarità, vicinanza, protezione personalizzata.
Il terzo sostantivo con cui il salmista descrive il Signore, è “rocca, baluardo” (che il testo ufficiale della CEI traduce con “difesa”), termine proveniente con certezza dal vocabolario militare, nel quale solitamente descrive una “fortezza inespugnabile” (Sal 48,4).
La finale del salmo è la conclusione più logica per chi ha consegnato la propria vita nelle mani del Signore: per costui la speranza si fa sempre più certezza di poter gustare e contemplare la bontà divina già su questa terra.
Da qui sgorga l’invito che il salmista rivolge a se stesso e a tutti coloro che sono provati a rimanere saldi e forti nell’amore del Signore. Chiediamo quindi al Signore di poter contemplare la Sua bellezza nel volto di coloro che, per strade diverse, dimorano alla Sua presenza.