di ANDREA FILLORAMO
Voglio essere benevolo nei confronti di Mons. Calogero La Piana, tenendo conto anche della sofferenza a lui causata dagli accadimenti iniziati ben sedici mesi fa e mai conclusi.Ho sempre sostenuto, anche in tempi non sospetti, date le notizie che mi pervenivano, che il vescovo emerito, è un ingenuo. L’ingenuità, come sappiamo, deriva dalla mancanza di esperienza ed è naturalmente normale solo nella prima infanzia. Essa genera in chi osserva i bambini avvolti nei vissuti ingenui, un forte sentimento di tenerezza e provoca in genere la giustificazione dei loro eventuali errori e trasgressioni. Quando, però, l’ingenuità si mantiene negli adulti che magari hanno tanta o poca esperienza, ma che non la sanno codificare, genera una molteplicità di sentimenti. Fra questi larabbia, lo sconcerto di vedere una persona ingenua che non nota ciò che gli accade attorno e quando il mondo gli sta cadendo addosso, cerca puntelli per mantenerlo là dove la natura l’ha posto ma non si accorge che ciò non è possibile eche raccogliere le macerie attraverso “manipolazioni maldestre” aggrava sempre di più la sua posizione. In tal caso nessuno giustifica né può giustificare, come per i bambini,gli eventuali errori e le trasgressioni fatte. E’ bastato, infatti, che il vescovo emerito facesse un’imprudente, maldestra intervista in un sito sconosciuto di Internet, che la rabbia e lo sconcerto prendessero il posto del silenzio che era preferibile osservare.
Tali sentimenti vengono espressi da un prete messinese, in un’email che IMGPress pubblica, con la speranza che non ci sia più altro da dire sulla vicenda “La Piana”, anche perché è necessario, anzi urgente, ricostruire, al più presto, un clima sereno all’interno della comunità diocesana e del clero, fortemente colpito dallo sviluppo di una situazione a dir poco dolorosa per tutti.
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Leggendo, quanto è stato scritto in questi giorni sul caso “La Piana” mi sento ribollire dentro. Quanta falsità negli uomini di chiesa! ma ciò che mi fa più rabbia è il fatto che non si è voluto dire subito la verità: tutti sapevano o supponevano ma tutti tacevano e ciò fino a quando, dopo la conferenza stampa dell’emerito avvenuta a ridosso delle sue dimissioni, quanto circolava, se prima era accompagnato dal dubbio ha preso piena consistenza. Chi non vuole parlare, chi tace ha sempre qualcosa da nascondere; sarebbe stato più opportuno, quindi, rispondere alle diverse domande che i giornalisti invitati volevano porre ma che sono stati bloccati, in modo irruente e concordato probabilmente con l’emerito, come deus ex machina dal prete Tripodo, divenuto difensore d’ufficio di un vescovo che in quella sceneggiata ora appariva forte deciso nell’attacco, ora, invece, debole e in lagrime in difesa. E i giornalisti, tutti messinesi, che forse avrebbero voluto porre delle domande su quanto solo adesso il napoletano Fittipaldi fa conoscere, anche se insultati e ritenuti “fabbricatori di fango”, non avendo a disposizione le carte che adesso il giornalista dell’Espresso ha, nulla hanno obiettato e anche se mugugnanti sono tornati a casa con le pive nel sacco. Andiamo adesso a parlare del testamento e del famigerato biglietto, scritto dal dottore alcuni giorni prima della morte. Quel che è avvenuto, davanti al notaio, che stilava il testamento, lo sanno in tanti, come lo sanno i testimoni che sicuramente adesso e a ben ragione non parlano per non essere coinvolti in questa sporca faccenda. Il vescovo allora rivolgendosi al dottore chiese “Lasci l’eredità a me o alla diocesi?" e il dottore rispose: “A te”. Mi sono chiesto: “Se il vescovo non voleva o non accettava l’eredità, aveva la possibilità di rifiutare di essere erede universale, riservandosi, magari, il ruolo di esecutore testamentario. Bastava dirlo e il dottore non avrebbe avuto alcuna difficoltà a destinare l’eredità alla diocesi. Egli adesso dice, senza dimostrarlo di aver donato tutto quel che toccava a lui alla diocesi. E quel che toccava ad altri di averlo già ceduto. Lo dimostri l’emerito e gli crederemo. Come ultima nota critica a quanto egli sostiene nell’intervista-difesa, quando cioè allude al fatto che il dottore, negli ultimi giorni della sua vita tutti l’avevano abbandonato, tranne quello che da lui era chiamato “Lillino”, dico che egli afferma il falso. Il dottore mai è stato lasciato solo. E poi, se egli si vanta di questa vicinanza con il dottore particolarmente negli ultimi giorni della sua vita, dato l’abbandono al quale era costretto, mi chiedo: “Da che cosa nasce questa premura verso di lui? Da carità pastorale? Ma quanti preti malati, soli hanno avuto accanto a loro l’emerito?”. Perché non è stato vicino a quel prete anziano che aveva rifiutato la parrocchia ed è stato costretto a chiedere ospitalità ad una famiglia?”. E ancora, sempre in riferimento a quel prete di una certa età: “Perché il vescovo impose a giovane prete di non riceverlo in parrocchia?”. Tutti sanno i motivi e pensano che si tratti di un gesto vendicativo che più di una persona gli ha rinfacciato. Su questa persona che ha retto una diocesi, amministrata da vescovi che nel passato hanno scritto il loro nome nella storia ci sarebbero da dire molte altre cose, ma concludo con quel biglietto lasciato dal dottore. Mi chiedo: il biglietto è vero, è autentico, è vero il suo contenuto? Sono convinto di sì, dato che così l’ha fatto conoscere per primo il giornalista Fittipaldi, prima in un articolo del settimanale Espresso, poi nel libro “Lussuria”.
F.S.