Girano voci assurde sui preti

di ANDREA FILLORAMO

Papa Francesco, in un colloquio a tutto campo con i sacerdoti partecipanti al Convegno organizzato dalla Congregazione per il Clero alla Urbaniana, si rivolge a loro e dice:“Non è normale che un prete sia spesso nervoso o duro di carattere…Non va bene e non fa bene, né al prete, né al suo popolo……. Ma se tu hai una malattia e sei nevrotico, vai dal medico! Dal medico clinico che ti darà una pastiglia che ti fa bene. Anche due! Ma per favore che i fedeli non parlino delle nevrosi dei preti. E non bastonate i fedeli… E il papa ammette “sinceramente” di aver “paura dei rigidi”: “I preti rigidi meglio tenerli lontano, ti mordono”, dice con ironia. Conclude poi dicendo: “Mi viene in mente quello che disse Sant’Ambrogio nel secolo IV; dove c’è la misericordia c’è lo spirito del Signore. Dove c’è la rigidità, ci sono solo i suoi ministri.”.
Quanto detto dal papa vale sicuramente anche per i vescovi, che avendo più responsabilità dei semplici sacerdoti sono più soggetti alle patologie del sistema nervoso.
Mi sono rammentato subito di questo brano del discorso papale, sentendo dei preti che all’uscita da due incontri con il nuovo arcivescovo di Messina, sono rimasti sbalorditi per il viso burbero, per la violenza deisuoi discorsi e per il linguaggio molto forte da lui utilizzato, inconciliabili, anzi in contrato aperto con l’immagine che il papa ha del prete e quindi anche del vescovo. Certamente quei preti non potevano pensare che il nuovo vescovo avesse le sembianze ieratiche del santino che alcuni conservano nel loro portafogli; l’avevano più volte visto in foto, nei video e alcuni erano presenti a Siracusa nella sua ordinazione episcopale, népotevano, con filtri magici, addolcire le sue sembianze.
Superato il momento, diciamolo pure, di smarrimento, diverse sono state le interpretazioni dei sacerdoti di quel comportamento ritenuto assurdo, paradossale e di quei discorsi talmente strani da non essere compresi. Alcuni, a denti stretti, come “cani bastonati”, hanno commentato: “Siamo caduti dalla padella nella brace…”Altri: “Ci voleva…sì…ci voleva ……finalmente”. Qualcuno, riferendosi al linguaggio, fatto anche di parole “pesanti”, utilizzato dall’arcivescovo,che viene da Ortigia, cuore della splendida città di Siracusa, che pullula di popolo, che non disdegna di usare un linguaggio siciliano, abbastanza “grasso”, ricordava altre parole del Papa Francesco, in quel discorso all’Urbanianain cui diceva: il prete“non può perdere le sue radici, resta sempre un uomo del popolo e della cultura che lo hanno generato”.
Non possiamo e non dobbiamo “affossare” un vescovo, solo ascoltandoi primi due discorsi che ha fatto, giungendo come metropolita in una arcidiocesi, ma dobbiamo cercare di comprenderlo, di interpretarlo. Mettiamoci nei suoi panni e innanzitutto chiediamoci: “l’arcivescovo, era a conoscenza della situazione pregressa della diocesi, delle accuse vere o false al suo predecessore, dei motivi per il quale lo stesso si era dimesso? Chi, eventualmente l’ha informato?
In ogni caso e anche se il suo informatore fosse il vescovo emerito, al quale nessuno può negare il diritto di difendersi, anche attraverso interviste, che al dire il vero fino ad oggi, sono non convincenti anzi…; ma non di voler vedere nel suo successore un difensore, inteso come un “alter ego“ chescrive e parla su sua dettatura.
Il nuovo arcivescovo – più di uno garbatamente glielo chiede – dovrebbe astenersi da ogni giudizio e forse anche da ogni parere, su quanto precedentemente è avvenuto, poiché, stando all’autodifesa di Mons. La Piana, carente in molti punti, egli accusa, (qualcuno dice “calunnia”) alcuni preti affermando, senza offrire prove, che l’hanno diffamato.
Ciò paradossalmente anche per non essere chiamato in causa come naturale difensore, non di La Piana ma dei suoi preti, che si ritengono parte offesa in una querelle con il loro precedente arcivescovo. Assisteremmo a una telenovela che non finisce mai.
E’ certo che la diocesi, dopo gli ultimi avvenimenti è stata “senza nocchiero in gran tempesta”e sicuramente al nuovo vescovo è apparsa come un treno che può da un momento all’altro deragliare, anche per colpa o per responsabilità se non di tutti almeno di una certa parte del presbiterio messinese. A essa il vescovo si sarebbe rivolto in quelle filippiche? Forse. Certo che avrebbe potuto usare anche un altro approccio e un altro linguaggio, ma sicuramente il vescovo, in quei discorsi, ha espresso quello che probabilmente scaturisce dalla personalità di un siciliano che non vuole scappare davanti ai “mala tempora currunt“ e, quindi, alle difficoltà e, quindi, non intende mostrarsi incerto, dubbioso, indeciso davanti a esse. Nella psicologia sociale – lo sappiamo – le immagini acquistano la vivacità delle cose reali e sono considerate reali: l’irreale predomina sul reale. Ciò va tenuto sempre presente.
A tal proposito, inoltre c’è da osservare che chi si assume grandi responsabilità come quella di governare una diocesi attualmente in crisi, nel momento in cui si presenta come tale, può senza timore pensare che deve possedere il prestigio, che è l’elemento fondamentale della persuasione e, perciò, si serve di tutti gli strumenti a disposizione, che, in alcune occasioni possono essere anche quelli di “alzare la voce”, utilizzare un linguaggio duro ma non intimidatorio, altrimenti correrebbe il rischio di generare equivoci per il modo improprio di procedere e sarebbe veramente fuori luogo. Quel linguaggio, quindi, sicuramente è stato usato per aggredire delle situazioni complesse ma non le persone e per far prendere coscienza che i tempi, con il sopraggiungere di un nuovo vescovo, sarebbero cambiati. Qualcuno, leggendomi, può pesare chemi sono convertito al buonismo. Non sono assolutamente buonista, ma il tentativo che ho fatto è stato quello di capire o di comprendere il nuovo arcivescovo di Messina. Esso nasce dal fatto cheda fonti diverse mi giunge voce che Mons. Giovanni Accolla è un pastore, che non lascerà da soli i suoi preti, che li raggiungerà, particolarmente se soli e ammalati anche nelle parrocchie più lontane, che porterà nell’arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela un vento nuovo, quel vento di cui essa ha bisogno.