Dal Salmo 112
Il giusto risplende come luce.
Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti:
misericordioso, pietoso e giusto.
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.
Egli non vacillerà in eterno:
eterno sarà il ricordo del giusto.
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.
Sicuro è il suo cuore, non teme,
egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua fronte s’innalza nella gloria.
di Ettore Sentimentale
Il ritaglio del salmo 112 (vv. 4-9) che la liturgia propone per questa settimana coincide sostanzialmente con il genere sapienziale, mentre nella prima parte (omessa) l’accento letterario è posto sulla lode. La nota linguistica più caratteristica di questo componimento è data dall’acrostico che scandisce ogni versetto premettendovi una lettera dell’alfabeto ebraico: un espediente attraverso cui è molto più semplice imparare a memoria (come fosse una filastrocca) il contenuto del poema che possiamo così intitolare: “bellezza e superiorità del giusto”. A tal proposito, è bene puntualizzare subito che l’orizzonte di felicità proviene dal rispetto di Dio (v. 1, qui omesso).
La parte del salmo in oggetto descrive, con dovizia di particolari, la positività del giusto che (diversamente dal malvagio) possiede in abbondanza ogni bene spirituale e materiale. In questa enunciazione di beatitudine, il salmista non è nemmeno sfiorato dal dubbio che tormenta Giobbe: “perché il giusto soffre, mentre il mascalzone prospera?”.
Agli occhi del nostro autore la vita del giusto è racchiusa in un contesto idilliaco: ricchezza, salute, stima, onori… Il salmista però precisa, verso la fine del testo, perché il ricordo del giusto andrà oltre la morte: “ha dato largamente ai poveri”. In poche parole: non ha trattenuto per sé quello che ha ricevuto dal Signore, ma lo ha condiviso con i poveri.
Su quest’ultima espressione vorrei fermare l’attenzione, visto anche l’esordio solenne della prima lettura (Is 58,7-10) di questa domenica: “Non consiste forse [il digiuno che voglio] nel dividere il pane con l’affamato…?”.
Anche qui la Parola insiste sulla condivisione verso coloro che si trovano nell’indigenza. Al di là delle occasioni ufficiali (avvento di fraternità, quaresima di carità, raccolte una tantum per emergenze varie quali terremoti, inondazioni, ricerca scientifica, etc…) ci interpella e scuote per improntare la nostra vita a uno stile attento ai fratelli, “spezzando il pane con chi ha fame, vestendo gli ignudi…”. Il riferimento è alle opere di misericordia corporali, tornate prepotentemente alla ribalta in occasione dell’anno della misericordia.
San Paolo riprenderà l’espressione del v. 9 (“egli dona largamente ai poveri”) per invitare i cristiani di Corinto a essere generosi per la colletta in favore dei fratelli di Gerusalemme: “Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza, né per forza […] ma generosamente, come sta scritto: ha largheggiato, ha dato ai poveri, la sua giustizia duri in eterno” (2 Cor 9,8-9).
Questa giustizia diventa il “salvacondotto” per il giorno del giudizio (cfr. Mt 25, 31-46).