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Giuseppina Bakhita era nata in un piccolo villaggio del Sudan occidentale (regione del Darfur) e all’età di sette anni, fu rapita da mercanti arabi di schiavi. Per il trauma subito, dimenticò il proprio nome e quello dei propri familiari: i suoi rapitori la chiamarono Bakhita, che in arabo significa “fortunata”. Morta nel 1947, è stata poi nominata Patrona delle vittime della tratta.
L’appuntamento dell’8 febbraio, è giunto alla terza edizione e si concentra particolarmente quest’anno su un aspetto: la tratta di bambine, bambini ed adolescenti. Da qui la scelta dello slogan “Sono bambini! Non schiavi!”.
Noi oggi non possiamo che ribadire ancora una volta la nostra grande preoccupazione per un fenomeno che è in netta crescita nell’ultimo anno. La criminalità organizzata sempre più utilizza il canale dei barconi su cui viaggiano i richiedenti asilo per portare in Italia donne nigeriane già vendute al racket, per questo la lotta alla tratta è sempre più legata alla gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo.
Nel 2017 la nazionalità nigeriana è numericamente terza tra le più significative, rappresentando il 10% della totalità degli arrivi, e se donna la probabilità che sia vittima di tratta è praticamente una certezza.
Inoltre dall’osservazione effettuata nel periodo dicembre 2016 – gennaio 2017 dalle 31 Unità di strada della Comunità Papa Giovanni XXIII operative in varie città d’Italia emerge un aumento delle minorenni indotte alla prostituzione, che in alcune zone arriva al 50% delle presenze in strada.
La Regione ha stanziato per fine 2016 e 2017 per favorire l’emersione poco più di 1.100.000, a cui si aggiunge un milione di euro del Piano Operativo Regionale del Fondo Sociale Europeo a sostegno di progetti volti all’identificazione precoce, protezione e inclusione socio-lavorativa delle vittime di tratta e sfruttamento.
Nell’ambito della Cabina di regia del Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento si sta procedendo con la costituzione del gruppo di lavoro tematico “Azioni attuative volte a stabilire un raccordo sinergico tra il sistema di protezione internazionale e quello di protezione delle vittime di tratta” con lo scopo di avviare un lavoro coordinato tra il Dipartimento per le pari opportunità e il Ministero dell’Interno.
Abbiamo proposto di avviare in Piemonte un progetto sperimentale che, mettendo in stretto collegamento il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e la rete antitratta, miri ad individuare tempestivamente le potenziali vittime di tratta tra chi richiede la protezione internazionale, in modo da non indirizzarle nei normali centri di accoglienza ma direttamente nelle comunità di fuga. Allo stesso tempo stiamo rafforzando il lavoro coordinato con le Commissioni Territoriali che valutano le domande dei richiedenti asilo.
Criticità specifiche sono emerse rispetto alle donne in gravidanza o che comunque si rivolgono ai nostri servizi sanitari, con l’opportunità di essere agganciate e sottratte alla rete che le sfrutta. Su questo tema si sta provando a definire un protocollo operativo con la questura e la procura di Torino in modo da poterne avviare una sperimentazione.
Sempre sul tema tratta, abbiamo ricevuto diverse segnalazioni riscontranti che sempre più spesso, le donne nigeriane, una volta arrivate in Italia e accolte presso le strutture predisposte, sono contattate dai loro sfruttatori, costrette ad abbandonare i centri e forzate alla prostituzione. Frequentemente questo allontanamento avviene prima che le vittime abbiano presentato il C3, formalizzando la loro richiesta d’asilo, rendendole in questo modo invisibili e irregolari. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a numerosi casi in cui giovani donne, dopo essersi allontanate dai centri di accoglienza e aver vissuto sulla loro pelle l’esperienza della strada, si rivolgono alle Questure al fine di essere nuovamente fotosegnalate e presentare contestuale richiesta di asilo, ma in alcuni casi vengano notificati loro decreti di espulsione motivati sul fatto di essersi allontanate dai centri prima di aver fatto il C3. Anche su questo problema occorrerà intervenire tempestivamente affinché le donne che si sono allontanate dai centri prima di aver presentato la domanda di protezione internazionale perché costrette e che successivamente alla fuga dalla strada si rivolgono alle associazioni in cerca di aiuto, possano regolarizzare la loro posizione mediante la richiesta di asilo ed essere reintrodotte nel sistema di accoglienza, evitando che aumenti il numero di donne irregolari, ancor più esposte per tale motivo a situazioni di sfruttamento.