Dal Salmo 33
Donaci, Signore, la tua grazia: in te speriamo.
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.
di Ettore Sentimentale
Il testo in oggetto questa settimana è stato abbondantemente ritagliato dall’intero salmo, un inno che si apre con un invito – rivolto ai “giusti” – a esultare nel Signore. Sebbene questa selezione sia monca della parte centrale, offre tuttavia spunti interessanti alla nostra riflessione.
All’esordio (v. 4) si intravede il motivo “dell’esultanza, del cantare il canto nuovo, del suonare la cetra e acclamare al Signore” (v. 3 omesso), il testo completo suona così: “perché retta è la parola del Signore”. Nel versetto successivo (v. 5), il salmista – facendo tesoro della propria esistenza – aggiunge un tocco esperienziale, frutto dell’alleanza di Dio con il suo popolo: il Signore “ama la giustizia (toccata con mano nei numerosi interventi operati dall’Altissimo lungo il corso della storia della salvezza) e il diritto”, cioè le norme basilari della torah, bussola che indica il giusto cammino agli uomini. Addirittura l’autore afferma che “l’amore (lett. “hesed”= misericordia) del Signore pervade la terra”: un’espressione in linea con la “teologia della creazione” del libro di Genesi e che in tale contesto puntualizza come l’amore misericordioso di Dio avvolga l’universo.
È molto consolante sapere che l’uomo non è un ingranaggio predeterminato dal caso, ma una creatura intimamente unita a Dio. A conferma di tale affermazione il salmista insiste nel dire che l’uomo è sotto lo sguardo benevolo e provvidente di Dio (“l’occhio del Signore è su quanti lo temono”, v.18). Si tratta ovviamente di un antropomorfismo con il quale il testo vuol sottolineare lo scambio di sguardi amorevoli fra Dio e l’uomo. Se qui viene detto che l’occhio di Dio è sui giusti, nel salmo 123,2 il simbolismo viene quasi capovolto, perché sono i giusti a volgere lo sguardo al Signore: “Ecco, come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, fino a che egli abbia pietà di noi”.
A Taizé circola un bellissimo canone che riprende proprio le parole di questo salmo: “Oculi nostri ad Dominum nostrum…”
La lode si conclude con un’espressione che sintetizza la fiducia dell’orante nei confronti del Signore, “aiuto e scudo” nelle avversità. Letteralmente il v. 20 suona così: “L’anima nostra ha anelato al Signore”. Simbolica l’azione del salmista che è “proteso” verso Dio, mosso dalla speranza di rimanere immerso “nella sua fedeltà amorosa” (ultimo versetto).
È significativo che la liturgia ci faccia pregare questo salmo come risposta alla “chiamata di Abramo da parte di Dio” (prima lettura, Gen 12, 1-4), perché il “nostro padre nella fede” si fida del Signore e per tutta la vita percepisce su di lui lo sguardo divino, intriso di amorevole bontà.
Proviamo a guardare il mondo e soprattutto il prossimo tramite gli “occhi del cuore”, anzi con gli “occhi misericordiosi” con cui siamo scrutati dal Padre e consolati dalla Madre…misericordesoculos ad nos converte.