Dal Salmo 130
Il Signore è bontà e misericordia.
Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia supplica.
Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi ti può resistere?
Ma con te è il perdono:
così avremo il tuo timore.
Io spero, Signore.
Spera l’anima mia,
attendo la sua parola.
L’anima mia è rivolta al Signore
più che le sentinelle all’aurora.
Più che le sentinelle l’aurora,
Israele attenda il Signore,
perché con il Signore è la misericordia
e grande è con lui la redenzione.
Egli redimerà Israele
da tutte le sue colpe.
Il salmo proposto per questa domenica (V di quaresima “A”) è meglio conosciuto con l’incipit latino “De profundis”. Si tratta di una supplica dal forte accento penitenziale nella quale l’orante grida la consapevolezza del proprio peccato e la ferma speranza nella misericordia divina che verrà a redimere lui e l’intero popolo.
L’articolazione del poema prende le mosse dall’angoscia opprimente nella quale è precipitato l’autore. Sembra quasi di risentire – ma con una vistosa variazione nello sviluppo – l’antico adagio: “Chi è causa del proprio male, pianga se stesso”. Ora il nostro autore ha colto il proprio male ma pure la sua abissale incapacità a liberarsi da solo dal baratro in cui si trova. E in questa situazione di tormento, non può far altro – per uscire dalla voragine – che confessare le proprie colpe e chiedere perdono al Signore. La supplica si fa urgente a tal punto da osare alcune espressioni “pressanti” nei confronti di Dio: “ascolta…fa’ attento il tuo orecchio…”.
Questo stato di particolare bisogno gli fa vedere la sua vita e quella degli altri sotto una luce particolare: Dio non ha il registro di “carico/scarico” o “dare/avere”, quasi fosse un rigoroso ragioniere che calcola le colpe nei dettagli infinitesimali… No, Dio non tiene conto dei nostri peccati, perché se così facesse nessuno potrebbe resistere davanti a Lui, che è sempre più grande del nostro peccato (vedi catechesi di Papa Francesco del 30 marzo 2016, nel commentare il Salmo 51, il noto “Miserere”).
Qui il salmista dà alla sua preghiera una virata rivoluzionaria anche per noi, uomini del 3° millennio, sempre pronti a scandalizzarci del “comportamento divino”. Infatti, dal v. “Ma con te è il perdono: perciò avremo il tuo timore” si comprende la portata sconvolgente dell’amore di Dio: il suo perdono è la premessa perché Gli si possa dare il “rispetto” (timore) dovuto. Dalla consapevolezza di essere stati perdonati nasce il forte legame di amore reciproco nei confronti del Signore. È un po’ quello che dice Lc 7, 47: “A chi si perdona poco ama poco…”. La vita del peccatore perdonato e riabilitato adesso si impregna di un colore particolare: la speranza. Certezza che Dio gli rimane accanto con la sua parola, cioè con gli insegnamenti che sostengono la sua vita che si snoderà sul filo di una vigilanza affettuosa, come quella della sentinella che brama l’aurora.
Quest’ultima immagine è così enfatizzata nel testo da essere ripetuta per due volte consecutive. Segno dell’attesa impaziente e fiduciosa che l’anima all’alba – simbolo di risurrezione – non offrirà il fianco alle tenebre (cioè al peccato). E ciò riguarda la vita personale del salmista e dell’intero popolo di Dio.
La liturgia offre questo salmo nella domenica in cui si proclama il vangelo della “risuscitazione” di Lazzaro (Gv 11). Non ci resta che vivere da “redenti”, cioè da creature riscattate dal proprio peccato.