di Vincenzo Andraous
Quei bimbi ammazzati dapprima con le pallottole, con le granate, con il ferro e il fuoco, ora indegnamente azzerati nuovamente con i gas, perché non è la prima volta, è cosa nota anche se strenuamente malcelata. Saranno condanna della condanna per una umanità terminata senza un sussulto di pietà, di impetuosa e non più rinviabile difesa della vita. Quel che è accaduto in quel lembo di terra di nessuno, dove non cresce più erba ma filo spinato disseminato di parole apparentemente nuove, eppure vetuste come le più infami degenerazioni umane, è la riedizione neanche troppo mascherata di tante altre insopportabilità che il potere sottoscrive ben attento a non apporre alcun timbro di riconoscimento. Quei bambini con il volto reclinato e gli occhi spalancati dalla disperazione, designano una «nuova maniera di parlare al nemico», una forma-azione di annientamento inaccettabile e proibita che al contempo diventa una forma del fare, anonima ma risolutiva. Piccole creature devastate dalla morte e abbandonate tra detriti e bossoli di ogni colore, appaiono caricature sgangherate di un piano invece ben definito, protagonisti della tragedia che previene la disarticolazione di un equilibrio esistenziale così precario da barcollare sotto il peso della vergogna. Quei bambini che rappresentano l’intoccabilità dura e pura, sono la questione che renderà inquieto anche il più tracotante degli assassini, questione non di poco conto come si sta cercando di fare passare, questione di onore, per non riaffermare l’unica vera questione da non osare più oltraggiare con i giochetti e i manicaretti, si tratta di questione d’amore per ogni bimbo calpestato e per ogni uomo che si ritenga tale. Bimbi inseguiti dalla furia della vendetta, bimbi falcidiati dal delirio di onnipotenza che non risparmia dignità di alcuno, figuriamoci il rispetto del più debole, degli innocenti martoriati e buttati via dalle parole che fanno scempio dei piccoli corpi. Sulla guerra, sugli eccidi, sulle fosse comuni, sulle razzie, sulle pulizie etniche, nonostante i silenzi assordanti, ben sappiamo chi e quanto abbia dato assenso e consenso. Su queste morti così incomprensibili e dunque così incombenti, si ergono come grattacieli invalicabili i sepolcri imbiancati degli aggettivi che non sono sostantivi, delle grammatiche dis-umane che non sono assolutamente compatibili con i comportamenti e gli stili di vita dell’onore. Sepolcri imbiancati appunto, maniere di fare e di dire che praticano l’infamia più grande: uccidere un bambino.