Sulle tavole degli italiani un piatto su cinque che viene dall’estero è ottenuto dal lavoro minorile e dallo sfruttamento degli operai, dei contadini e dell’ambiente, all’insaputa dei consumatori e nell’indifferenza delle istituzioni nazionali ed europee. A denunciarlo è la Coldiretti in occasione della campagna “Abbiamo riso per una cosa seria" che in 1000 piazze, parrocchie e mercati di Campagna Amica vede oltre 4000 volontari offrire pacchi di riso 100% italiano della FdAI – Filiera degli Agricoltori Italiani, per una donazione minima di 5 euro con l’obiettivo di difendere chi lavora la terra.
Se il cibo italiano è garantito da leggi all’avanguardia nella tutela dei lavoratori, dalle rose kenyane alle banane centroamericane, dal riso asiatico al pomodoro cinese, dalla frutta e verdura sudamericane all’olio di palma del sud est asiatico, fino a cacao, caffè e gelsomini, un prodotto su cinque tra quelli importati in vendita nei supermercati italiani non rispetta le normative in materia di occupazione vigenti nel nostro Paese. Un fenomeno diffuso nel tempo della globalizzazione dei mercati che – continua la Coldiretti – si fa paradossalmente finta di non vedere solo perché avviene in Paesi lontani e che viene spesso addirittura incentivato da accordi europei agevolati per l’importazione di prodotti alimentari, dal riso del Myanmar all’olio dalla Tunisia fino alle trattative in corso, anche per i prodotti frutticoli, con i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay) dove non ci sono le stesse norme di tutela dei lavoro vigenti in Italia.
Accade così che i prodotti che – accusa Coldiretti (www.coldiretti.it) – portiamo ogni giorno in tavola siano coltivati attraverso il lavoro minorile, che riguarda in agricoltura circa 100 milioni di bambini secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), di operai sottopagati e sottoposti a rischi per la salute, di detenuti o addirittura di veri e propri moderni “schiavi”. “Occorre dunque garantire che dietro tutti gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una equa distribuzione del valore” ha dichiarato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo nel ricordare che “si stima siano coltivati o allevati all’estero circa 1/3 dei prodotti agroalimentari consumati in Italia, con un deciso aumento negli ultimi decenni delle importazioni proprio da paesi extracomunitari dove non valgono gli stessi diritti sociali dell’Unione Europea”.
Un esempio è rappresentato dalle importazioni di conserve di pomodoro dalla Cina, aumentate del 43% nel 2016, al centro delle critiche internazionali per il fenomeno dei laogai, i campi agricoli lager che secondo alcuni sarebbero ancora attivi, nonostante l’annuncio della loro chiusura. Un problema che – continua la Coldiretti – riguarda anche il riso straniero i cui arrivi in Italia hanno raggiunto il record nel 2016, con una vera invasione da Oriente da cui proviene quasi la metà delle importazioni. L’aumento varia dal +489% per gli arrivi dal Vietnam al +46% dalla Thailandia per effetto dell’introduzione da parte dell’Ue del sistema tariffario agevolato per i Paesi che operano in regime EBA (Tutto tranne le armi) a dazio zero. Un regalo alle multinazionali del commercio – denuncia la Coldiretti – che sfruttano gli agricoltori locali, i quali subiscono peraltro lo sfruttamento del lavoro anche minorile e danni sulla salute e sull’ambiente provocati dall’impiego intensivo di prodotti chimici vietati in Europa. Rilevanti sono anche le importazioni di nocciole dalla Turchia sulla quale pende l’accusa per lo sfruttamento del lavoro delle minoranze curde, ma il problema riguarda anche le rose dal Kenya, i fiori dalla Colombia, la carne dal Brasile, lo zucchero di canna della Bolivia, le fragole dall’Egitto. Ma ci sono trattative – annota la Coldiretti – in corso anche per i prodotti frutticoli con i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay) dove non ci sono le stesse norme di tutela di lavoro vigenti in Italia. Un caso a parte è quello delle importazioni di olio di palma ad uso alimentare che in Italia sono più che raddoppiate negli ultimi 20 anni raggiungendo nel 2016 circa 500 milioni di chili. Uno sviluppo enorme – conclude la Coldiretti – che sta portando al disboscamento di vaste foreste senza dimenticare l’inquinamento provocato dal trasporto a migliaia di chilometri di distanza dal luogo di produzione e naturalmente le condizioni di sfruttamento del lavoro delle popolazioni locali private di qualsiasi diritto.