Dal Salmo 66
Acclamate Dio, voi tutti della terra.
Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!
A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.
Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.
Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.
di Ettore Sentimentale
Il testo in oggetto, estrapolato dall’intero salmo, è una vigorosa eco della prima parte del carme, costituita essenzialmente da un inno di lode. Vorrei sottolineare l’insistenza del salmista che invita a “sperimentare” di persona le meraviglie di Dio.
Il ritmo incalzante di questi versetti è contrassegnato da alcuni imperativi: “acclamate, cantate, venite, vedete, ascoltate”. Mi soffermo sugli ultimi tre, per rileggerli alla luce del NT.
“Venite e vedete le opere di Dio”: un invito pressante a toccare quasi con mano le mirabili opere salvifiche attraverso le quali Dio si è manifestato e per le quali la comunità in preghiera innalza la sua lode. Il testo contiene un chiaro riferimento al passaggio del Mar Rosso durante l’Esodo e l’attraversamento del Giordano con l’arca dell’alleanza poco prima dell’insediamento definitivo in Palestina.
Con gli stessi verbi l’evangelista Giovanni (1,38-39) descrive l’invito alla sequela del Maestro: “Rabbì, dove dimori? Venite e vedrete”.
Mentre il salmista invita tutti i popoli a sperimentare la “consistenza” del Dio d’Israele, Gesù chiede ai suoi amici di andare dietro a Lui sino in fondo per scoprire il luogo della sua “dimora”: il Padre. Il motivo di tale “cammino” è chiaro: seguendo Gesù, il Figlio amato, i fratelli ritrovano la sorgente della propria esistenza, ritornando alla casa paterna. Per cogliere la portata di questo “passaggio” dobbiamo puntualizzare le principali sfumature del “vedere” in S. Giovanni. La prima rimanda all’illuminazione interiore attraverso la quale si “conosce” in profondità. In questa direzione, “vedere” è sinonimo di “conoscere”. Si vede con gli occhi, perché essi rappresentano la porta del cuore, ma lo sguardo è indirizzato sempre alle persone che si amano e alle cose che hanno un legame particolare con la nostra vita. Tutti il resto non lo vediamo perché non ci interessa! Per il 4° evangelista, in questo caso “vedere” è sinonimo pure di “venire alla luce”.
Siamo così giunti alla soglia del “credere”. Il salmista, in realtà, attraverso il suo invito ci immette nella prospettiva della fede. Nell’ultima strofa della nostra selezione dice chiaramente: “Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio, e narrerò quanto per me ha fatto”. S. Paolo dirà che “la fede deriva dall’ascolto [fides ex auditu]” (Rm 10,17). E nel nostro caso l’orante ci ricorda che, dopo aver sperimentato la misericordia di Dio, sente l’urgenza di “narrarla” a tutti. Il racconto dell’esperienza vissuta diventa così anche la migliore testimonianza nel lodare e ringraziare il Signore.
In conclusione, si tratta di riascoltare e fare nostre le parole di 1 Gv 1,1-3: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita[…], noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”.