di ANDREA FILLORAMO
Il Cardinale Gualtiero Bassetti è il nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana. L’arcivescovo di Perugia era il primo nome nella terna proposta al Papa dai vescovi italiani, davanti al messinese, Franco Montenegro e a Giulio Brambilla. Papa Francesco ha sconvolto così la prassi della scelta del presidente della CEI, introducendo l’elemento della collegialità all’interno della Conferenza e continuando con le innovazioni alle quali ci ha abituato e alle quali risulta che molti vescovi siano restii.
Diciamola tutta. Da quando sul seggio di Pietro c’è papa Bergoglio, molto nella Chiesa è cambiato e molto ancora cambierà, se si andrà, come si spera, ben oltre il30% di vescovi (ultimo dato di recenti indagini), che, accettano la linea pastorale di papa Francesco, con la logica conseguenza, quindi, che l’70% dei vescovi si muove,o in modo deliberato o inconsapevolmente, in direzione opposta a quella impressa dall’attuale pontefice.
Il fatto certo è, pertanto, che ci troviamo, se la paragoniamo a quella di cinquanta anni fa, in una Chiesa completamente nuova,così come “abbozzata” e voluta dal Concilio Vaticano Secondo (vedi: Lumen gentium).
Una nuova pastorale, una nuova predicazione, un nuovo linguaggio, un diverso accostamento ai fedeli e, quindi, un nuovo spirito che vuole essere evangelico,rende obsoleti i vecchi modelli del passato e le tradizionali leve della motivazione religiosa, che ancora chi ha responsabilità pastorale utilizza.
Ciò significa che la Chiesa (che il papa degnamente rappresenta) è cambiata ma molti vescovi e molti preti, anche se“ossequienti”,sono legati oltre misura al passato e non vogliono cambiare e non ascoltano il Papa che dice: “Non si possono lasciare le cose come stanno”.
Se guardiamo, infatti,soltanto al modello di gestione del poteredi molti vescovi, notiamo subito che essenzialmente verticistico e per nulla affatto collegiale, come voluto dal Concilio.
Per rendere efficace il loro potere, che è soltanto sacramentale, molti vescovi, inoltre,si avvalgono e preferiscono avvalersi di “collaboratori ubbidienti”, “acritici “, “accondiscendenti”; né mancano, poi,fra questi, preti “arrivisti”, “carrieristi”, “invidiosi”, “frustrati”, bramosi di benefici e privilegi, pronti a tutto pur di partecipare ad un potere che sostanzialmente è “senza potere”. Tutto ciò in contrasto del decreto “Presbyterorum Ordinis” dello stesso Concilio.
Il modello, al quale molti vescovi e preti si ispirano rischia di compromettere la stessa evangelizzazionee l’efficacia pastorale e, a lungo andare, mette addirittura a repentaglio la sopravvivenza della Chiesa stessa.
Ciò, a mio parere, accade, perché ancora nel clero esiste una carriera ecclesiastica e in essa non si tiene conto dei “carismi”, nonci sono criteri di valutazione, ognuno è considerato una “pedina” da collocare nello scacchiere, spesso maneggiata da incompetenti.
Tutto, perciò, è basato sulla discrezionalità di una o di poche persone, sulle amicizie, sulle impressioni, sulle apparenze esulle segnalazioni di chi precedentemente è stato a sua volta segnalato e, quindi,sul “gradimento” che è sempre soggettivo, appartiene alla sfera emotiva, e, infine, sulla segretezza che non dà ragione anzi nasconde i motivi delle scelte.
Il potere decisionale risulta, perciò, “opaco”, “burocratizzato”, “raccomandatizio”, centralizzato al vertice (vescovo e i più diretti collaboratori che, oltretutto,spesso mancano di una profonda comprensione della realtà umana e pastorale).
Laddove troviamo il vecchio modello di vescovo, pertanto, notiamo generalmente un gap molto grande fra preti e vescovo.
Ne risultano alcune caratteristiche dello staff episcopale,della leadership di una diocesi, che sono: la struttura piramidale di comando e controllo, una rigida gerarchia all’interno, che si accompagna spesso alla sete di potere, all’inerzia, e alle difficoltà nelle relazioni dei suoi membri.
Un vescovoautoritario, predilige dare ordini e pretende che i preti si comportino come disciplinati scolaretti che seguono diligentemente i suoi diktat.
In tal caso, i connotati del clero possono essere: l’ipocrisia, la paura, la scarsa motivazione, la non funzionalità del servizio reso.
L’unica speranza, perciò, sta nel cambiamento, un cambiamento vero che deve stravolgere i parametri a cui i preti erano precedentemente abituati.
Sono tutte queste le tematiche che papa Francesco, nei suoi discorsi ha sempre trattato allorché si è rivolto, e lo ha fatto frequentemente, ai vescovi, talvolta fustigandoli con veemenza e non solo ma ne ha rimosso alcuni, ne ha nominato altri provenienti dalle attività parrocchiali, dei quali ha valutato particolarmente la pastoralità.
Ciò accadrà sicuramente nella grandissima arcidiocesi di Milano, in cui abito e in cui si aspetta la designazione del nuovo arcivescovo che sostituirà il Cardinale Scola che ha presentato da tempo le dimissioni per raggiunti limiti di età.
Così, volendo riferirci alla Sicilia, è avvenuto a Palermo e anche nella arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela, che da poco ha il suo arcivescovo, che credo riuscirà, come da tempo tanti preti auspicano, a cambiare tante cose e fra queste, in modo particolare, lo staff che lo accompagna nel suo lavoro episcopale.