Dal Salmo 104
Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.
Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.
Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore.
di Ettore Sentimentale
Il testo in oggetto è frutto di una impegnativa selezione dell’intero salmo (appena sei versetti su 35) ma tuttavia offre gli indispensabili elementi per una riflessione che garantisce una certo orizzonte unitario contrassegnato dal versetto: “Quante sono le tue opere, Signore!”. Da qui deriva il relativo genere letterario che rimanda a un “inno” a Dio creatore, cantato con toni sapienziali in un clima di pura e ammirata contemplazione.
La prima percezione che salta all’occhio è quella della gioia incontenibile e reciproca fra il salmista e il Signore. L’esordio, solenne e maestoso, presenta l’orante che invita la sua “anima” (cioè se stesso) a pregare il salmo con atteggiamento di lode e di ringraziamento. Nel testo ebraico troviamo “Berakhi”(“benedici”) che rimanda alla “berākâ” (la “benedizione” per antonomasia). Solo uno stolto non “benedice” perché non vuol vedere la grande sapienza con cui Jahweh ha creato e regge l’universo. Basta guardarsi attorno per scorgere l’ordine e la bellezza delle creature.
Il rimando all’enciclica “Laudato sii” di papa Francesco è obbligato, anche per la felice coincidenza “cronologica” con il testo in esame. Il documento pontificio, infatti, porta la data del 24 maggio 2015, solennità di Pentecoste e noi leggiamo questo salmo nella stessa solennità, perché i grandi prodigi operati dal Signore nella creazione rimandano alla “nuova” creazione, inaugurata dal Risorto e perfezionata dallo Spirito nella Pentecoste.
Lo Spirito di Dio che dà la vita, fa nuove tutte le cose: “Mandi il tuo spirito (“rûah”), sono creati, e rinnovi la faccia della terra”. Questo versetto e il precedente “Togli loro il respiro (“rûah”): muoiono”, a mio avviso, rappresentano il culmine della contemplazione dell’orante perché rimandano al dono della vita da parte di Dio e alla sua relativa accoglienza da parte dell’uomo. Vi è pure un delicato gioco “verbale” – come si evince dalla trascrizione letterale fra parentesi – che nella nostra versione non si coglie facilmente, perché utilizza due vocaboli diversi, sebbene sinonimi, per tradurre la stessa parola “rûah”.
Il salmista adora il Creatore e Signore, l’unico ad avere la capacità di donare e riprendere la vita. L’alternarsi della vita e della morte e il comparire di una nuova vita sono effetto della relazione fra il “respiro/rûah” di Dio e il “respiro/rûah” dell’uomo.
Sappiamo dal NT che lo Spirito (=respiro) di Pentecoste è soffio di vita, torrente debordante, vento impetuoso, acqua viva, fuoco divorante. Scuote tutto al suo passaggio. Provoca nuovi germi. È il nuovo “respiro” creatore.
Anche l’espressione “ritornano nella loro polvere” rimanda alla teologia della creazione, ove si dice che l’uomo è fatto di “polvere” e “in polvere tornerà” (Gen 3,19), come annunciato dopo la caduta dei progenitori.
La conclusione del salmo è contrassegnata dall’augurio che Dio “gradisca” la lode dell’orante (più di un sacrificio). Penso quindi che tutti, come il salmista, dobbiamo trovare la piena gioia nella lode e nella benedizione di Dio che continua a rinnovare l’universo attraverso il dono dello Spirito.