Il disagio giovanile è in netto incremento, sono tanti i ragazzi che non dormono, che hanno sbalzi d’umore, hanno paura di fallire, hanno spesso crisi di ansia e pensano di non farcela da soli. Il 20% riferisce di essere in cura da uno psicologo, e c’è anche chi ricorre facilmente all’uso di sostanze per star meglio, infatti, il 10% degli adolescenti assume psicofarmaci come calmanti, antidepressivi o ansiolitici, perché non è in grado di gestire le ansie e le preoccupazioni e si sente agitato o angosciato. Oltretutto, sono ragazzi che non crescono in un clima di dialogo ma di conflitto, il 40% di loro dichiara di litigare spesso con i genitori e di vivere in un ambiente familiare pesante.
Tra le forme di disagio più diffuse troviamo il BULLISMO, di cui sono vittime rispettivamente circa 3 adolescenti su 10 e il CYBERBULLISMO che coinvolge circa 1 adolescente su 10.
Sono ragazzi che per il 45% condividono tutto quello che fanno sui social e nelle chat, esponendosi a dei rischi notevoli e l’aspetto più preoccupante è la normalizzazione di mediare tutte le loro attività con l’occhio della telecamera, sono infatti circa 2 su 10 (18%) che condividono tutto quello che fanno, fotografano e riprendono.
Si tratta di una condizione molto preoccupante che coinvolgela maggior parte degli adolescenti: mettono in attocomportamenti particolarmente a rischio che li portano ad essere facilmente adescabili, vulnerabili e prede nel web.
Il 65% dei ragazzi dichiara di aver parlato nelle chat con persone che non conosceva, il 15% accetta l’amicizia sui social network da tutte le persone, comprese quelle che non conosce. Fin dalla prima adolescenza, sono iperconnessi tanto che già dagli 11 anni sono tutti muniti di social network senza avere gli strumenti per tutelarsi da soli e i genitori sono i grandi assenti: l’89% degli adulti non controlla i telefoni dei figli e non conosce le attività che svolgono in rete.
Uno dei disagi più diffusi tra gli adolescenti e di cui si continua a parlare ancora poco e si fa tanta confusione è l’AUTOLESIONISMO. Per autolesionismo si intende quel comportamento in cui si attaccano intenzionalmente parti del proprio corpo, tendenzialmente le braccia o le gambe, senza intento suicidario. Generalmente i ragazzi usano lamette, oggetti appuntiti o taglienti per graffiarsi, tagliarsi e ferirsi in qualche modo, oppure si bruciano con accendini o si colpiscono, sbattono i pugni o altre parti del corpo su pareti, muri o vetri. Il cutting, ossia il tagliarsi, è la forma più frequente, soprattutto tra le ragazze. Troppi adolescenti autolesionisti si sentono emarginati e stigmatizzati dalle famiglie, dalla scuola e dalla società che forse, non è ancora in grado di accoglierli e di comprendere la sofferenza che si cela dietro il loro gesto. Per questa ragione si nascondono spesso nei rifugi virtuali, per cercare un conforto, condividere il proprio malessere, sentirsi parte di una comunità ed essere soprattutto accettati, con il rischio però che, invece di trovare un vero aiuto, si vada a rinforzare il problema stesso. Online ci sono centinaia di comunità, di pagine sui social network dedicate all’autolesionismo, cariche di immagini di adolescenti che nascondono le loro ferite dietro un hashtag.
Nella fascia di età compresa tra gli 11 e i 13 anni, quasi 2 preadolescenti su 10 dichiarano di aver messo in atto condotte autolesive senza significative differenze tra i due sessi, rispetto a circa il 18% dei ragazzi, tra i 14 e i 19 anni, di cui il 67% sono femmine. I dati più preoccupanti in assoluto sono due: quasi il 14% lo fa in maniera ripetitiva e sistematica (dato in aumento del 2,5% in un solo anno) e l’età media in cui iniziano a farsi del male è pari a 12,8 anni.
Il 95% dei genitori non si rende conto di quello che succede sotto i suoi occhi. Il problema è che nelle famiglie non si parla più, non c’è dialogo, si va troppo di fretta, i ragazzi sono sempre più attaccati alla tecnologia e si crea un muro tra le due generazioni che a volte impedisce ai genitori di vedere i problemi dei figli.
Challenge, sfide estreme e autolesive e giochi della morte. Fin dove possono spingersi i ragazzi in rete?
Ciò che preoccupa veramente sono i dati legati alle sfide social e alle challenge che dilagano a macchia d’olio nel web: 1 adolescente su 10 fa selfie pericolosi in cui mette anche a repentaglio la propria vita e oltre il 12% è stato sfidato a fare un selfie estremo per dimostrare il proprio coraggio (Dati Osservatorio Nazionale Adolescenza). La metà degli adolescenti è stata nominata in una challenge con il rischio di partecipare solo ed esclusivamente per emulazione ed effetto contagio.
Tra le social mode più preoccupanti, che nell’ultimo periodo sembra abbiano preso sempre più piede tra gli adolescenti, sono le challenge o sfide autolesive, tutte quelle sfide social che nascono in rete e che portano i ragazzi a procurarsi del dolore fisico e infliggersi delle ferite sulla pelle pur di partecipare e condividere online le proprie imprese, con il rischio che in poco tempo, giovani di tutto il mondo, possano emulare queste modalità di attacco al proprio corpo. Infatti, l’effetto più allarmante di queste catene, è proprio la rapidità con cui dilagano nel web per effetto contagio, innescando così condotte di pura imitazione degli altri, in cui ci si rinforza a vicenda. Il secondo fattore da sottolineare di queste mode, è che nel rimbalzare da un social all’altro o nel finire in apposite pagine create per mostrare i vari “trofei”, i ragazzi rischiano di esagerare e di andare oltre quello che è l’input iniziale. Tanti giovani, infatti, pur di apparire, cercano la soluzione più estrema, più originale per dimostrare il proprio coraggio, per essere riconosciuti dal popolo del web, per ottenere una maggiore approvazione social e viralità del video o del post. IN QUEL MOMENTO È PIÙ IMPORTANTE L’APPARIRE PIUTTOSTO CHE LA PROPRIA SALUTE FISICA, VINCE L’OMOLOGAZIONE E L’ESSERE UN ANELLO DI UNA CATENA.
Nonostante il gioco si trasformi in sofferenza e dolore fisico, lo scopo è quello di resistere il più possibile e dimostrare il proprio coraggio agli altri. Il tutto viene ovviamente immortalato e pubblicato sulle varie piattaforme online, così da poter dire: “Ce l’ho fatta, ho superato la sfida”, diventare popolare e racimolare in breve tempo il numero maggiore di “mi piace”.
Tra le sfide autolesive troviamo: l’Eraser Challenge, che consiste nel strofinarsi una gomma su una parte del corpo, generalmente il braccio, fino a crearsi delle vere e proprie abrasioni, la Salt and Ice Challenge, che consiste nel procurarsi delle bruciature sulla pelle dopo essersi messi del sale e poi del ghiaccio sopra o lo spruzzarsi a distanza ravvicinata una bomboletta di deodorante fino a crearsi delle bruciature.
Con questi giochi o sfide estreme gli adolescenti arrivano a farsi del male, a tagliarsi, a bruciarsi, a rischiare la vita, fino, nei casi più estremi, a partecipare a veri e propri giochi in cui si rischia la vita, come il Blue Whale Game, che li inducono anche, nei casi di maggiore vulnerabilità, a togliersi la vita, rischiando di far passare il suicidio come un gesto eroico che in pochi avrebbero il coraggio di fare, un qualcosa di grandioso che gli permette di acquisire finalmente un ruolo, riconosciuto dall’esterno, per troppo tempo desiderato ma mai ritrovato nella vita reale. Di frequente, infatti, soprattutto in questi ultimi anni, ci siamo ritrovati di fronte a ragazzi posizionati sui binari dei treni per scattare un selfie, sui tetti delle macchine in corsa o penzolanti dai palazzi, coricati in mezzo ad una strada in attesa dell’arrivo di una macchina, il tutto rigorosamente ripreso dallo smartphone e postato online per trovare il maggior numero di condivisioni possibili e ricercare in questi gesti, popolarità, riconoscimento e approvazione social.
Il campione
I dati sono stati raccolti su un campione composto da circa 8.000 adolescenti sul territorio nazionale di età compresa tra gli 11 e i 19 anni.
Maura Manca
Osservatorio Nazionale Adolescenza