Dal Salmo 145
Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.
O Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto.
di Ettore Sentimentale
Il nostro testo è uno stralcio del salmo 145, un inno in forma di acrostico che sostanzialmente canta la regalità di Jahweh. Fin dall’esordio, infatti, l’orante esprime il suo vivo e convinto desiderio attraverso una formula coortativa, ripetuta due volte nei primi versetti: “voglio”. E subito dopo aggiunge l’oggetto della sua brama: “esaltare e benedire in eterno e per sempre il Signore”, percepito dal salmista come suo “re”.
La liturgia eucaristica presenta quest’inno come risposta alla Prima Lettura (Zc 9,9-10) nella quale il profeta, dopo le vittorie sbaraglianti di Alessandro Magno, annuncia l’imminente invio da parte del Signore di un re “giusto, vittorioso e umile”. Sembrerebbe un controsenso, ma la tradizione ha riletto questa profezia in chiave messianica. Il “re” di cui parla Zaccaria sarà Gesù Cristo.
In affetti il salmo rielabora gli elementi costitutivi e specifici della regalità divina del Primo Testamento: il Dio d’Israele è “misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore”. In questa espressione vi è la percezione orante del popolo – liberato dalla schiavitù d’Egitto – nei confronti della presenza costante e provvidente di Jahweh, sperimentata particolarmente nell’Esodo (34,6).
Qui però il salmista vi aggiunge un tono di alta spiritualità. Davanti alla fragilità umana Dio manifesta la sua regalità non attraverso la pura e cruda giustizia (oggi parleremmo di “giustizialismo”), ma attraverso la sua bontà e tenerezza che danno il vero spessore della sua grandezza.
Presa coscienza dell’iniziativa divina, l’orante invita tutti a “lodare, benedire, dar gloria” alle imprese particolari del Signore, con le quali dimostra la “stabile” permanenza del suo regno di “verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia e di pace” (Prefazio della Solennità di Cristo Re).
L’epilogo del nostro testo è contrassegnato dalla fermezza del modo di agire di Dio che, a differenza dell’instabile e incostante atteggiamento dell’uomo, rimane “eternamente” fedele alla sua bontà.