di ANDREA FILLORAMO
E’ nota la lentezza della Chiesa cattolica nel recepire le istanze della modernità, imbrigliata com’è dalla tradizione, dalla burocrazia, dal dogmatismo e dal clericalismo che vietano o limitano ogni tentativo di autentica riforma.
Nella Chiesa, oltretutto – lo sappiamo – le norme etiche vengonodate da quei teologi moralisti, che operano il passaggio dalla Legge (divina) alle regole fondate solo sulla debolezza delle opinioni umane e dei contesti socio-culturali.
Nessuno nel passatoha preso in considerazione che potesse esserci un papa capace di eliminare le incrostazioni secolari delle norme etiche della Chiesa, mettendoin discussione l’intangibilità di quanti si arrogano il diritto di ritenersi interpreti autentici della Parola di Dio, anche se affermano in modo gattopardesco che tutto deve cambiare purché tutto rimanga come da sempre è stato.
Essi non si rendono conto che il mondo in cui viviamo ha visto l’avanzata progressiva della cultura delle libertà e dei diritti dell’individuo. Non comprendono che c’è un mutamento profondo di prospettive. Continuano a pensare che la fede debba stare al centro del mondo umano, che il potere discenda direttamente da Dio e che esso deve plasmare non solo il codice delle norme morali, ma anche il linguaggio prescrittivo delle leggi positive.
Non pensano che la stessa Parola di Dio ha bisogno di una diversa ermeneutica.
Nella morale cattolica è il “peccato” che domina più di Dio ed è il “senso di colpa” che aggredisce la coscienza del credente.
Mi sovviene quanto il grande umanista Erasmo da Rotterdam scriveva, che, come il messaggio di Gesù va ricondotto alla sua purezza liberandolo dalle sovrapposizioni dottrinarie, allo stesso modo la vita del cristiano ha bisogno di essere liberata da tutto ciò che di estraneo e deformante vi aveva aggiunto il corso dei secoli. Le sue sono pagine sconosciute nelle scuole ecclesiastiche, sono dense di ironia contro tutto ciò che sa di superstizione, feticismo, formalismo e che è abusivamente scambiato con il vero cristianesimo.
Gli ultimi papi, seguiti dai vescovi e dai preti, pur percependo o affermando la necessità del cambiamento sono rimasti sempre impigliati nella loro formazione e non hanno avuto il coraggio di portare a compimento un processo di rinnovamento etico, di cambiamento coraggioso di norme e leggi ritenute obsolete o di impossibile applicazione, poiché forze interne hanno sempre vietato che ad esso si mettesse mano e che, quindi, fossero abbattute le barriere di ideologismo e clericalismo esasperati, imposte da secoli, tanto da costringere Benedetto XVI alle dimissioni.
Il desiderio, quindi,di un papa che scuotesse energicamente il tappeto per far cadere la polvere, è rimasto sempre sospeso.
Con l’avvento di Papa Francesco si ha la sensazione che finalmente ciò sia già avvenuto, che ci si avvia verso la strada del cambiamento e che una nuova primavera della Chiesa si sia già avviata, anche se aleggia in molti una sensazione d’incertezza come ai tempi del caotico post Concilio Vaticano II, negli anni ‘60 e ’70.
La “rivoluzione” soltanto iniziata da papa Bergoglio, avviene a tutti i livelli ma si rende più evidente nella scelta, nella rimozione/ dimissioni dei vescovi.
Nel frattempo Francesco ha mostrato esplicita disapprovazione, verso quelli esplicitamente associati al tradizionalismo.
Molto è cambiatoda quando l’ex cardinale e arcivescovo di Buenos Aires, ha pronunciato quell’inaspettato: “Chi sono io per giudicare?”, dato in risposta alla domanda di un giornalista sui sacerdoti omosessuali.