In questi giorni i Tg ci hanno erudito sui due incontri politici più importanti del momento, la cosiddetta Leopolda del Partito Democratico e la tre giorni di Milano di ascolto di Forza Italia, dell’inossidabile presidente Berlusconi. Come per altri happening politici, in questi incontri, emerge un profluvio di parole, di gesti e di immagini, un parlarsi addosso, un futile chiacchiericcio. Mentre guardavo i servizi, il mio pensiero è andato subito al bellissimo saggio che ci ha offerto recentemente il cardinale Robert Sarah, “La forza del silenzio”, edito da Cantagalli (2017). Il libro è stato scritto insieme al giornalista Nicolas Diat e al Priore dei certosini Dom Dysmas De Lassus. In questo denso testo di riflessione spirituale, il cardinale, andando controcorrente, ci invita a riprendere, a riscoprire la grande importanza del silenzio, che dev’essere soprattutto interiore. E’ un testo straordinario che può essere letto e meditato anche per brevi passi, (peraltro numerati) o per qualche frase, come ha scritto Marco Tosatti in una sua presentazione.
“Il nostro mondo non ascolta più Dio perché parla continuamente, con un ritmo incessante e fulminante, per non dire altro”. Osserva il cardinale, “La civiltà moderna non sa tacere. Continua sempre nel suo monologo. La società postmoderna rifiuta il passato e guarda al presente come un mero oggetto di consumo […] Il suo sogno, divenuto triste realtà, era di rinchiudere il silenzio in una prigione umida e scura. C’è ormai una dittatura della parola, una dittatura dell’enfasi verbale”. Pertanto per monsignor Sarah,“in questo teatro di ombre, non rimane che una ferita purulenta di parole meccaniche, senza valore, senza verità e senza fondamento. Molto spesso, la verità non è altro che una pura e mendace creazione mediatica corroborata da immagini e testimonianze prefabbricate”.
In questo contesto, il rumore si rende padrone di tutto e l’uomo, si perde e cade nel tunnel della depressione. Addirittura “desidera disperatamente il rumore perché gli dia qualche consolazione”. Così il rumore diventa “un ansiolitico ingannatore, che dà assuefazione”. Sono pochi quelli che accettano di confrontarsi con Dio nel silenzio. L’uomo postmoderno uccidendo il silenzio, praticamente uccide Dio. Pertanto la prima battaglia della nostra epoca dovrà essere quella di riprenderci“il gusto della preghiera”.
Il testo del Prefetto della Congregazione del culto divino e dei sacramenti è nato nello spettacolare ambiente della Grande Chartereuse, il monastero dei certosini nelle Alpi francesi, vicino Grenoble.“E’ di vitale importanza che ci ritiriamo nel deserto- osserva il cardinale – per combattere la dittatura di un mondo pieno di idoli, che si ingozza di tecnica e di beni materiali, un mondo che rifugge Dio rifugiandosi nel rumore. Bisogna aiutare questo mondo a fare l’esperienza del deserto”.
Tuttavia il cardinale africano ci esorta “a dare un posto privilegiato alla preghiera silenziosa quotidiana nella solitudine della nostra camera. In una perfetta simbiosi con i chiostri monastici, è necessario vivere un rapporto intimo con Dio nel santuario della nostra camera e di combattere, con l’aiuto della preghiera e del silenzio, il buon combattimento della fede”. Monsignor Sarah insiste nell’additarci “il silenzio dei monasteri”, che certamente rappresentano,“lo scrigno più bello su questa terra per l’uomo che vuole salire verso Colui che lo attende”. Infatti il cardinale ci ricorda che così come i monaci hanno fatto lo sforzo per distaccarsi dalla creatura, che hanno spezzato le catene della nostra schiavitù, anche noi dobbiamo fare qualcosa di simile. Certi atti di “spogliamento e di sottomissione non cesseranno mai di essere necessari. Avremo sempre da lottare contro la nostra natura decaduta. ‘Militia est vita hominis super terram’ (la vita dell’uomo sulla terra è un combattimento).
Evocando il chiostro di un qualsiasi monastero, il cardinale invita ogni persona a “costruirsi un chiostro interiore, ‘un muro e un bastione’, deserto privato per incontrarvi Dio nella solitudine e nel silenzio”.
Sottolinea il cardinale: “il silenzio è il privilegio degli uomini coraggiosi. Possono cadere e perdere la speranza; il silenzio continuerà a farli rialzare […]”.
Più avanti il cardinale precisa che “il silenzio e la preghiera non sono una fuga. Sono le armi più forti contro il male”. Inoltre, precisa ancora:“il silenzio non è una forma di passività […] Confidare nel cielo, non significa abbandonare la terra”.
Il testo è interessante perchè apre delle riflessione profonde sulla Liturgia, e su certi comportamenti dei religiosi all’interno della Chiesa. Il cardinale Sarah, prendendo in prestito le parole del beato John Henry Newman, punta il dito sulla insensibilità di tanti religiosi, orfani di quel sacro fuoco dello spirito:“non sorprende particolarmente il fatto che molti sacerdoti siano diventati come dei contenitori senza anima, uomini che parlano molto e condividono una quantità di esperienze, ma nei quali il fuoco dello Spirito di Dio si è estinto e che non esprimono altro che idee insignificanti o sentimenti vuoti”.
Esiste una “incredulità ciarliera che spegne il fuoco”, e soprattutto per i cristiani, i religiosi che dovrebbero svolgere“un apostolato, la tentazione più grande è l’eccesso di parole, che indeboliscono la nostra fede e la rendono tiepida”. E sempre citando il beato Newman, ricorda che“Senza l’ascesi del silenzio, i pastori diventano uomini di scarso interesse, prigionieri di una logorrea noiosa e patetica. Senza la vita dello Spirito Santo e senza il silenzio, l’insegnamento del sacerdote è una chiacchiera confusa, privo di consistenza”. Pertanto secondo Newman: “Più siamo vicini allo Spirito Santo, più siamo silenziosi; più ci allontaniamo dallo Spirito, più siamo chiacchieroni”.
Tuttavia Sarah osserva che“il silenzio e la solitudine sono il luogo di un combattimento spirituale contro tre nemici:il mondo, il demoni e l’uomo vecchio (o ‘la carne’ nel senso paolino)”. Il silenzio occorre proteggerlo da ogni rumore “parassita”, a cominciare dal nostro”io”, che ci fa preoccupare eccessivamente di noi stessi.
Nel II° capitolo, il cardinale fa una constatazione amara:“alcuni sacerdoti trattano l’Eucarestia con assoluto disprezzo. Vedono la messa come un banchetto pieno di chiacchiere in cui i cristiani fedeli all’insegnamento di Gesù, divorziati risposati, uomini e donne che vivono in adulterio e persino turisti non battezzati che partecipano alle celebrazioni eucaristiche piene di folle anonime possono accedere alla comunione al corpo e al sangue di Cristo, senza distinzione alcuna. – e continua – La Chiesa deve esaminare urgentemente l’opportunità ecclesiale e pastorale di queste immense celebrazioni eucaristiche cui partecipano migliaia e migliaia di persone.
E’ grande il pericolo di trasformare l’Eucarestia, ‘il grande mistero della fede’, in una volgare kermesse e, quindi, di profanare il corpo e il preziosissimo sangue di Cristo”. Pertanto il cardinale Sarah afferma con forza:“I sacerdoti che distribuiscono le sante specie senza conoscere nessuno e danno il Corpo di Gesù a tutti, senza discernere tra cristiani e non cristiani, prendono parte alla profanazione del Santo Sacrificio eucaristico”. Inoltre,“coloro che esercitano l’autorità nella Chiesa sono colpevoli di una specie di complicità volontaria per il fatto di lasciare che si realizzi il sacrilegio e la profanazione del corpo di Cristo in queste gigantesche e ridicole autocelebrazioni, in cui sono ben pochi coloro che percepiscono che ‘[…]voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga’ (1 Cor 11,26).
Nel III° capitolo il libro si sofferma sul Mistero del Sacro. E subito il cardinale afferma categoricamente che la nozione di sacro è particolarmente avversata in Occidente. In questi paesi laici,“non ci sono più legami con il sacro”. Pertanto,“la categoria del sacro sarebbe sorpassata”. Ma “senza l’umiltà radicale che si esprime nei gesti di adorazione e nei riti sacri, non è possibile alcuna amicizia con Dio, il silenzio manifesta questo legame in modo evidente”. Più avanti al numero 233, il cardinale scrive: “Il silenzio sacro è il cardine di tutte le celebrazioni liturgiche”. Il cardinale cita la liturgia del Venerdì Santo, quando il celebrante, “si prostra stendendosi al suolo, davanti all’altare, e rimane in quella posizione un lungo istante in grande silenzio. Questo gesto silenzioso è eloquente. L’uomo riconosce il proprio niente e non ha letteralmente niente da dire di fronte al mistero sacro della Croce. Umilmente, non può che prostrarsi e adorare”.
Tuttavia, ci tiene a precisare monsignor Sarah, dopo la riforma di Paolo VI, nonostante i buoni propositi di questo grande Papa,“c’è talvolta nella liturgia un’aria di familiarità fuori posto e rumorosa. Con il pretesto di cercare di rendere l’accesso a Dio facile e abbordabile,[…] Ma riducendo in questo modo il mistero sacro a semplici buoni sentimenti, impediamo ai fedeli di avvicinarsi al vero Dio. Con il pretesto della pedagogia, ci sono sacerdoti che si prendono la libertà di fare commenti interminabili, piatti e orizzontali. Questi pastori – afferma il cardinale Sarah – hanno paura che il silenzio davanti all’Altissimo crei sconcerto nei fedeli”.
Il Prefetto del culto divino invita i sacerdoti a curare la processione di comunione. “Quanti sacerdoti camminano verso l’altare del sacrificio chiacchierando, discutendo o salutando le persone presenti invece di inabissarsi in un silenzio sacro pieno di rispetto”. E ancora osserva: “Ci sono tanti sacerdoti che entrano trionfalmente e salgono all’altare, salutando a destra e a manca, per sembrare simpatici. Osservate il triste spettacolo di certe celebrazioni eucaristiche…Perchè tanta leggerezza e mondanità al momento del Santo Sacrificio? […]Perché alcuni sacerdoti si credono obbligati a improvvisare o inventare preghiere eucaristiche che fanno sparire le parole divine in un bagno di misero fervore umano?[…] c’è bisogno di queste fantasie e di queste creatività soggettive?”. Il cardinale ammonisce con forza: “il silenzio sacro è un bene prezioso per i fedeli di cui i sacerdoti non devono privarli”.
Al numero 238, monsignor Sarah racconta di un episodio straordinario accaduto nel 2011 durante la GMG di Madrid, Benedetto XVI, costretto a modificare il suo cerimoniale, invece del discorso ai giovani, “ha preferito utilizzare il tempo che restava per l’essenziale. Piuttosto che parlare, ha invitato i giovani a entrare con lui nel silenzio dell’adorazione. In ginocchio, davanti al Santissimo Sacramento, Benedetto XVI ha predicato con il suo silenzio. C’erano più di un milione di giovani nel fango; eppure su questa folla immensa regnava un impressionante sacro silenzio, letteralmente ‘carico di presenza adorata’”.
Successivamente il cardinale si occupa del significato del mistero, collegato al silenzio. Il cardinale vede,“un vero e proprio avvertimento per la nostra civiltà. Se le nostre intelligenze non sanno fermare gli occhi, se non sappiamo tacere, allora saremo privati del mistero, della sua luce[…]”. Allora il cardinale constata: “Spesso mi chiedo se la tristezza delle società urbane occidentali, in cui dilaga la depressione, il suicidio e il disagio morale, non derivi dalla perdita del senso del mistero. Perdendo la capacità di fare silenzio davanti al mistero, gli uomini si privano delle sorgenti della gioia”.
Oggi i cristiani senza il silenzio, rischiano di diventare idolatri, “le nostre parole ci ubriacano e ci rinchiudono nel creato. Incantati e prigionieri del rumore dei discorsi umani, corriamo il rischio di costruire un culto a misura di uomo, un dio a nostra immagine. Le parole portano con sé la tentazione del vitello d’oro!”. Dovremmo ritrovare il riserbo, il pudore il senso verginale, del silenzio profondo per avvicinarci ai santi misteri della liturgia, ai grandi misteri della teologia.
Per il cardinale,“oggi, sono numerosi coloro che urlano come lupi per difendere una visione della liturgia di cui si ritengono i depositari esclusivi; si tratta di persone ideologiche che immolano rumorosamente sull’altare dei loro idoli coloro che essi considerano retrogradi”.
Al n.247 si occupa del canto sacro nella liturgia:“il canto della liturgia cristiana dovrebbe prendere le distanze da certi canti pieni di parole per ritrovare la grandezza contemplativa del canto dei monaci di Oriente e di Occidente”. Subito il cardinale propone il canto gregoriano che si associa al silenzio. A questo proposito afferma: “Alla Grande Chartreuse, che esperienza travolgente è stata cantare con i monaci, nella penombra della sera, il solenne Salve Regina dei vespri!”.
A partire dal n.250 fino al 270, in pratica a conclusione del III capitolo, il cardinale Sarah, riflette sulla malattia della liturgia. E subito ribadisce che il silenzio non si può introdurre nelle celebrazioni liturgiche per decreto, calato dall’alto. “Nella liturgia della Chiesa, il silenzio non può essere una pausa tra due riti; il silenzio stesso è pienamente un rito che avvolge tutto. Il silenzio è la stoffa con cui dovrebbero essere cucite tutte le nostre liturgie, nelle quali niente dovrebbe rompere l’atmosfera silenziosa che è il suo clima naturale. Ora, – afferma Sarah – le celebrazioni diventano faticose perchè avvengono in un clima di chiacchiere rumorose. La liturgia è malata. Il sintomo più evidente di questa malattia è forse l’onnipresenza del microfono. E’ diventato così indispensabile da chiederci come abbiano fatto i sacerdoti a celebrare prima della sua invenzione”.
Monsignor Sarah auspica che l’insegnamento del Concilio Vaticano II sulla liturgia, contenuto in “Sacrosanctum Concilium”, guidi tutta la Chiesa. E dopo cinquant’anni ancora non si è esplorata la profondità. “Sarebbe tempo di lasciarsi insegnare dal Concilio, piuttosto che utilizzarlo per giustificare il nostro desiderio di creatività”. E qui Sarah cita il celebre testo intervista del 1985, “Rapporto sulla fede” con Vittorio Messori, del cardinale Ratzinger dove sottolinea che “si è perso il proprium della liturgia che non deriva da ciò che facciamo, ma dal fatto che avviene qualcosa che noi, tutti insieme, non possiamo fare”.
Monsignor Sarah raccomanda di non affrontare la liturgia “con un cuore rumoroso[…] Il silenzio liturgico è una disposizione radicale essenziale; è una conversione del cuore. Convertirsi, etimologicamente, significa ritornare, volgersi a Dio”.
Per quanto riguarda la celebrazione eucaristica, orientata verso oriente, il cardinale in quanto Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, ci tiene a ricordare, “che la celebrazione versus orientem è autorizzata dalle rubriche del Messale poiché è di tradizione apostolica. Non c’è bisogno di alcuna autorizzazione per celebrare in questo modo, cioè sacerdote e popolo, rivolti verso il Signore”.
Peraltro scrive il cardinale,“la celebrazione verso Oriente favorisce il silenzio. In effetti, il celebrante ha meno tentazioni di monopolizzare la parola. Di fronte al Signore, è meno tentato di diventare professore che fa una lezione per tutta la durata della Messa, riducendo l’altare a una tribuna il cui asse centrale non è più dato dalla Croce, ma dal microfono. Al contrario, rivolto verso Oriente e alla Croce, il celebrante prende coscienza che è, come ricorda spesso Papa Francesco, un pastore che cammina davanti alle pecore”. Inoltre, siamo meno tentati, “di fare spettacolo, di prenderci, come dice Papa Francesco, per degli attori!”. Questo dovrebbe essere il modo di celebrare regolarmente nelle nostre parrocchie.
Il cardinale Sarah, prevenendo le critiche che gli potrebbero rivolgere i vari pasdaram di un Concilio edulcorato, al numero 257, risponde:“Mi rifiuto di occupare il tempo ad opporre una liturgia all’altra, o il rito di San Pio V a quello del Beato Paolo VI. Si tratta piuttosto di entrare nel grande silenzio della liturgia; bisogna sapersi lasciare arricchire da tutte le forme liturgiche latine o orientali che privilegiano il silenzio. Senza questo spirito contemplativo, la liturgia rimarrà un’occasione di lacerazioni piene di odio e di scontri ideologici invece di essere il luogo della nostra unità e della nostra comunione nel Signore”.
Il cardinale ci tiene a precisare di non voler entrare in contrapposizione con nessuno. Le sue parole, non contraddicono la sua sottomissione e la sua obbedienza all’autorità suprema della Chiesa. “Desidero profondamente e umilmente servire Dio, la Chiesa e il Santo Padre con devozione, sincerità e un attaccamento filiale. Ecco, però, qual è la mia speranza: a Dio piacendo, quando Lui vorrà e come vorrà; la riforma della riforma liturgica si farà. Nonostante lo stridore dei denti, avverrà, poiché ne va del futuro della Chiesa”.
Domenico Bonvegna
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