Signore, fa splendere il tuo volto e noi saremo salvati

Dal Salmo 80
Signore, fa splendere il tuo volto e noi saremo salvati

Tu, pastore d’Israele, ascolta,
seduto sui cherubini, risplendi.
Risveglia la tua potenza
e vieni a salvarci.

Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte.

Sia la tua mano sull’uomo della tua destra,
sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.

di Ettore Sentimentale

La selezione del salmo in questione (costituita dai versetti iniziali e finali) è la risposta a Is 63,16ss, prima lettura della I Dom. di Avvento anno “B”, un testo celeberrimo nel quale si invoca il Signore a “squarciare i cielo e a scendere” per mettere ordine sulla terra.
Nel nostro caso l’orante è assediato dai problemi che lo soffocano (difficoltà nazionali, sconfitta, guerre, calamità…?) e cerca una via d’uscita invocando Dio come “pastore d’Israele” che guida il popolo come un gregge, pur rimanendo assiso sui cherubini. Di preciso il salmista chiede al Signore di riprendere in mano le sorti del paese “risvegliando la sua potenza e salvando il popolo”.
Sembra quasi un fatto scontato e paradossale insieme, ma l’autore parte da un dato incontrovertibile e “sprona” Dio ad agire da Dio. È come se dicesse: tu non puoi rifiutarti aiutarci. Forse parafrasando il testo, con la speranza di non stravolgerlo, il senso si coglie meglio. La preghiera dell’orante potrebbe essere questa:
Dio, tu sei tale in Israele e in mezzo al tuo popolo hai posto il tuo trono dal quale governi con diritto; attendiamo che tu faccia brillare il tuo splendore; risveglia la tua potenza per soccorrere il popolo che hai scelto. Ricorda: tu sei il “Dio degli eserciti” che nei tempi passati combattevi accanto alle tribù d’Israele e ti rendevi presente nel segno dell’arca dell’alleanza. Ritorna, o Dio, a manifestare la tua vicinanza.
In fondo, l’orante parla della “prossimità” di Dio, espressa attraverso la metafora dello sguardo. La richiesta di intervento, infatti, si fa supplica accorata e insistente perché dal cielo Dio volga il suo sguardo e visiti attentamente la sua vigna (simbolo d’Israele) e annoti che il “ceppo” e il “germoglio” (simboli della casa di Davide) da lui piantati adesso sono cresciuti e sono piante robuste e resistenti. Il richiamo alla dimensione messianica è abbastanza forte.
La fede dell’orante, infine, contempla come la potente mano divina sia sul “designato” (re? profeta?), individuato nel testo come “Figlio dell’Uomo”. Su questo titolo penso sia bene fermarsi un attimo. Nel caso specifico noi riusciamo a comprendere meglio questo passaggio alla luce di Dn 7,13s, che dà al “Figlio dell’Uomo” un importanza significativa. Gesù, infatti, abitualmente applica a sé questo titolo. Sebbene rigettato, egli è colui sul quale la destra di Dio manifesta la sua potenza, come si legge in Lc 22,69: “D’ora in poi il Figlio dell’Uomo siederà alla destra della potenza di Dio”.
Sceso in basso per grazia, per compiere la sua missione, ora il “Figlio dell’Uomo” non lo si riconosce che innalzato nella gloria intento nel “giudizio finale” (cfr. Mt 25,31-46, vangelo di domenica scorsa).
Questo particolare “movimento” dà grande rilievo al “nome” che libera il resto di Israele in forza della sua potenza ed, essendo “elevato al di sopra di ogni opera delle sue mani” (Sal 8,6), come “Figlio dell’uomo”, incorpora nella sua persona l’umanità, quindi anche noi.