Il prete ha bisogno soltanto di essere curato

di ANDREA FILLORAMO

Mentre nella diocesi di Messina, Lipari e S. Lucia del Mela infuriava la " bufera", che si concluse con le dimissioni dell’arcivescovo di allora e nell’attesa abbastanza lunga del nuovo vescovo, la cui nomina è stata preceduta da due Amministratori Apostolici, molti preti invocavano un pastore che fosse veramente un uomo di Dio, che avesse – come dice papa Francesco – "l’odore delle pecore", un linguaggio schietto e depurato da ostentazioni di "indegnità" e di "sofferenza", “capacità di scelta” dei suoi collaboratori con esclusione degli adulatori, dei carrieristi e dei burocrati, “snellezza” ed “essenzialità” nelle iniziative pastorali, “parsimonia” nello scrivere e nel parlare. Un prete allora, inoltre, mi scriveva: “Che venga da noi un vescovo che tenga conto che ogni sacerdote può perdersi nei labirinti di una solitudine umana che si manifesta quando ci si sente abbandonati, quando si cerca chi non c’è, chi non risponde, chi si teme sia diventato sordo e dunque che non risponderà mai". Quanto mi ha scritto allora quel prete mi ha colpito profondamente e deve colpire chiunque vede nei preti, disumanizzandoli, solo le loro "debolezze" troppo frequentemente denunciate. Egli, quindi, allora esprimeva il desiderio di avere “un vescovo che capisse che i sacerdoti hanno momenti nella giornata in cui la deprivazione sembra farsi più intensa, come la sera quando ci si prepara la cena, o quando non si sta bene in salute, si ha un acuto bisogno di qualcuno che porga una spremuta e faccia un po’ di compagnia". Lo sappiamo, il sacerdote è un uomo che può avere alcuni elementari bisogni, che può sperimentare la solitudine di una notte insonne, quando si è presi dalla paura, e dalla paura della paura che non conosce le certezze che solitamente provengono dalla propria fede. Da alcuni mesi quella che è stata la diocesi del Venerabile Francesco Fasola e dei vescovi Cannavò, Marra e La Piana, ha un nuovo arcivescovo direttamente scelto dal Papa e, per tal motivo, rispondente pienamente alle attese dei preti e, particolarmente di quel prete che chiedeva di sentirsi vicino un pastore nei momenti, che non sono rari, in cui la solitudine aggredisce l’anima e talvolta anche il corpo. Dalle notizie che mi giungono, infatti, Mons. Accolla è molto sobrio nel linguaggio, ha scelto dei collaboratori che sono persone degnissime e che godono la stima di quanti le conoscono, ama incontrare i presbiteri anche a loro domicilio, se anziani o ammalati. Egli, per quanto concerne la vicinanza ai preti, non si aspetta conferme da parte degli altri e dimostrando pazienza e profonda conoscenza del mondo clericale in cui coesistono, come in tutte le categorie, soggetti sani di mente e non, non si meraviglia più di tanto, se nota fra loro qualche arrabbiato che scrive incomprensibilmente su Facebook post contro di lui, contro i suoi vicari che descrive ingiustamente come insensibili, assieme al vescovo, persino davanti a un confratello che avrebbe subito un intervento chirurgico al cuore. Dei vicari episcopali, quel prete, sicuramente colpito da un raptus di invidia patologica, infatti, scrive: "a cosa servono? per prendere le presenze? Ma vadano a farsi benedire". Qualcuno pensa che anche Messina, come Palermo abbia il suo don Minitella, ma i due preti siciliani sono molto diversi fra loro: il prete messinese ha bisogno soltanto di essere immediatamente curato e di non essere abbandonato a se stesso, quello palermitano d’essere raccomandato alla misericordia di Papa Francesco.