di ANDREA FILLORAMO
Ho riflettuto a lungo ieri sera molto tardi quando un amico, telefonandomi da Messina, mi dava notizia che l’arcivescovo, aveva trasferito alcuni preti in altre parrocchie e ne aveva sollevato con la sostituzione qualche altro da incarichi dati dal suo predecessore (vedi il direttore della Caritas diocesana). L’ho subito considerato un inizio di una normale attività di un vescovo, dopo un anno di insediamento nella diocesi e dopo aver cambiato il rettore del seminario, il Vicario Generale e dopo la nomina dei Vicari episcopali. Sono certo che altri trasferimenti avverranno molto presto, poiché la chiesa messinese ne ha bisogno. Tutto ciò dà indicazioni chiare che l’arcivescovo è pienamente consapevole, dopo la bufera vissuta dai sacerdoti durante la gestione dell’ex arcivescovo oggi emerito, non solo della necessità dei cambiamenti, tutti sicuramente concordati e non imposti, alcuni forse anche desiderati e ricercati. Sono certo che mai più un parroco sentirà più dire dal proprio vescovo come è avvenuto durante la gestione passata: “se non te ne vai manderò i carabinieri!”. Mai più, inoltre, accadrà che, per una calunnia costruita ad arte nel palazzo, un parroco sessantenne verrà licenziato. L’arcivescovo di Messina, che fino a tempi recenti faceva parte del presbiterio, quello siracusano, sicuramente sa bene che alcuni cambiamenti di preti – che sarà obbligato a fare – saranno temuti da alcuni ed è questo un fatto normale. Da ciò, però, la massima considerazione per quei preti giunti ad una età avanzata che non abbandonano facilmente la parrocchia dove sono parroci da decenni. Ne soffrono maledettamente. A confronto ha sofferto di meno Benedetto XVI nel dimettersi da Papa che loro, abbarbicati a quelle parrocchie che l’hanno visto giovani e adesso assistono impotenti all’usura del tempo, che scava non solo il loro viso ma anche quello della loro gente. Lo sappiamo: chiunque svolge particolari attività, soffre nel momento in cui deve necessariamente lasciare per andare in pensione. Rischia addirittura la depressione. Se non avessi corso ai ripari ci sarei cascato anch’io. Per tal motivo solo rarissimamente e perché obbligato mi sono recato nei quattro Licei dove sono stato Preside. All’inizio per non infastidire il mio successore, in seguito poi per non soffrire di nostalgia. Mai però ho sentito quel determinato liceo come mia proprietà: “chi ha orecchi, intenda”.