di ANDREA FILLORAMO
Rispondo brevemente all’email molto lunga di R.G, inviatami dopo la lettura del mio articolo su IMG Press del 21 luglio u.s che, a commento, fra l’atro, scrive: “ “sono convinto che il parroco (Mons……….), al di là dell’immagine onnipresente nei social e del lungo e ricco curriculum che ha messo in Rete, abbia fatto volutamente diventare la parrocchia non una comunità ma a qualcosa somigliante a una setta” etc…
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Chi conosce il mio modo di procedere nel rispondere alle email che ricevo, sa che esse mi servono come spunti di riflessione sui alcuni problemi sollevati.
Nel rispondere, evito, quindi, con cura ogni personalizzazione e cerco, in tutti i modi, di non puntare o di far puntare il dito contro qualcuno. So, infatti, che parlare degli altri può provocare, a livello etico, non rispetto, crimine affettivo, contaminazione e tutte le peggiori brutture a cui si può pensare.
Ciò, però, non mi vieta di esprimere un’opinione su un comportamento o un modo di essere particolarmente se contrasta col mio o con il senso comune. Ogni altra interpretazione trova un muro di gomma contro cui rimbalza la logica della ragione.
Non intendo assolutamente, quindi, rivelare il nome di quel parroco, che oltretutto io non conosco, di cui il mittente dell’email riferisce; egli, oltretutto, sa bene che non rivelerò neppure il suo.
Ciò non toglie che quanto egli attribuisce a quel prete non possa essere considerato un fenomeno, non sappiamo quanto diffuso, che in momento di crisi della chiesa cattolica che colpisce vescovi, parroci e preti e tutte le istituzioni ecclesiastiche, particolarmente le parrocchie che si svuotano sempre di più, si renda attuale e che, perciò, si deve cercare di comprendere e di spiegare.
La cosa che mi ha colpito particolarmente e che ho trascritto in epigrafe del contenuto dell’email è l’affermazione che egli fa quando dice :” sono convinto che il parroco (Mons……….), al di là dell’immagine onnipresente nei social, e del lungo e ricco curriculum che ha messo in Rete, abbia fatto volutamente diventare la parrocchia non una comunità ma a qualcosa somigliante a una setta”.
E’ sicuramente questa un’affermazione molto grave, che, se vera, come sembra, vuol dire che al suo vertice il parroco si sarebbe posto non come un ministro, come un servitore, ma come un leader carismatico, una figura di vitale importanza per la sopravvivenza della parrocchia stessa e, quindi, quel parroco ha rinunciato ad essere un ministro di Cristo, in quanto presenta se stesso come colui che garantisce coesione, continuità ed ordine interno, al pari di un abate benedettino che detta le sue norme e distribuisce scapolari.
Tutta la sua attività parrocchiale, sarebbe, quindi, una pastorale camuffata, come descritta nell’email che non ho citato nella sua completezza, consistente nel solo impegno per organizzare all’interno della parrocchia attraverso il principio del “divide et impera” gruppi parrocchiali, associazioni, giornate di festa, fatte spesso di “sacramentali” non previsti, pizzate e gozzoviglie, per celebrare eventi, primi fra tutti i suoi compleanni, gli onomastici, l’anniversario dell’ordinazione, che sono accompagnati sempre da video, foto che affollano tutta la Rete, in cui egli manifesta il suo narcisismo.
E’ comprensibile che, nei siti e nei social la parrocchia o la setta (a questo punto possiamo farli diventare sinonimi) viene presentata, dal parroco, come una realtà veramente accogliente, aperta, capace di offrire serenità, sicurezza e protezione: un’organizzazione in grado di fornire tutte le risposte che religiosamente si vanno cercando, ma non è così e lo sanno quei pochi fedeli che la frequentano.
Essa, per loro, rimane soltanto – diciamolo chiaramente – un luogo di culto e non un’autentica “comunità di fedeli, di apertura e accoglienza, di servizio e risposta a domande e bisogni, luogo privilegiato dove si mettono insieme i propri doni, dove si condivide ciò che si è e ciò che si può dare, dove si diventa dono, dove si diventa segno di Cristo”.
In sintesi, il parroco, come considerato dal mittente dell’email è un grande manipolatore e la manipolazione mentale da lui operata esercita sui fedeli un dominio dispotico, molto distante dall’ umiltà che vuol dire servizio, vuol dire lasciare spazio a Dio, spogliandosi di sé stessi, “svuotandosi”, come dice la Scrittura. Papa Francesco ricorda a tutti che c’è una strada «contraria» a quella di Cristo: la mondanità.