Si richiede la santità agli altri, per tenere tranquilla la coscienza, nel momento in cui ci si accorge che non sono santi. Ma nel momento in cui ci si accorge che lo sono, li si consacra.
di ANDREA FILLORAMO
Leggevo in questi giorni alcuni scritti di Pier Paolo Pasolini e sono rimasto colpito da una espressione circa la canonizzazione dei santi: “È esperienza di ogni giorno, Si richiede la santità agli altri, per tenere tranquilla la coscienza, nel momento in cui ci si accorge che non sono santi. Ma nel momento in cui ci si accorge che lo sono, li si consacra. La consacrazione li discrimina, li cataloga: li rende innocui, e anche un po’ ridicoli e ufficiali”.
Non intendo commentare quanto forse erroneamente Pasolini sostiene ma, leggendo, il mio pensiero subito è andato a quanti dopo aver accolto, nel lontano 31 marzo 2006, l’iniziativa dell’arcivescovo di Messina Marra, di aprire la causa di beatificazione e canonizzazione del suo predecessore mons. Francesco Fasola, dopo che il postulatore ha raccolto il materiale documentale e le testimonianze, hanno dato inconsapevolmente ragione a Pasolini e per un decennio hanno abbandonato le procedure che avrebbe condotto agli onori degli altari il grande arcivescovo e archimandrita di Messina.
I 51 preti ordinati da lui operanti in diocesi, sanno chiaramente che la santità di Fasola può e deve essere riconosciuta; essa non è innocua, in quanto scava in profondità nella coscienza di quanti l’hanno conosciuto, seguito e amato.
Chi scrive ha avuto con Fasola un rapporto filiale. Sicuramente il nuovo postulatore della causa di beatificazione di mons. Fasola, Giacinto Tavilla, seguendo le direttive dell’attuale arcivescovo di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela, che può nel suo predecessore avere un punto di riferimento, saprà come operare per far riconoscere le virtù eroiche del santo vescovo e perché il suo esempio possa essere additato all’intera Chiesa.