Fra i tanti aspetti e le varie sfumature da esaminare del corposo Magistero e dagli scritti di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, c’è un aspetto a cui sono molto legato, si tratta della contemplazione della Bellezza. Ratzinger più volte ha affrontato questo tema, che probabilmente gli era molto caro. In questi giorni due interventi lo hanno evidenziato, il primo è di Stefano Chiappalone (La bellezza che apre il cuore a Dio, 2.1.23, lanuovabq.it) e l’altro di Susanna Manzin, (La via Pulchritudinis: una grande eredità di Benedetto XVI, 7.1.23, alleanzacattolica.org). Per la verità a suo tempo l’avevo affrontato anch’io, dopo la visita di Benedetto XVI alla Sagrada Familia a Barcellona in Spagna nel 2010. (Il Pellegrinaggio della bellezza di Benedetto XVI in Spagna, 12.11.2010)
Quella di Benedetto XVI è stata anche una “piccola via”, per certi versi paragonabile a quella di santa Teresa di Lisieux, che era in grado di stupirsi di fronte alla bellezza, come via privilegiata per la fede.
Scrive Chiappalone: “Benedetto non contrappone il senso di meraviglia e la lucidità del pensiero, anzi si integrano nell’ottica di quella che lui stesso ha definito a più riprese una «ragione allargata», capace cioè di comprendere anche la bellezza, l’amore, tutte quelle realtà che non sono “misurabili” e di cui tuttavia non si può certo negare l’esistenza e la necessità”.
Il Papa emerito era convinto che «l’arte e i santi sono la più grande apologia della nostra fede». E se proprio si vuole dare un’etichetta a Benedetto XVI, secondo Chiappalone possiamo definirlo certamente come “il Papa della bellezza, che ha definito «la grande necessità dell’uomo; è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza»: così si espresse in occasione del viaggio apostolico in Spagna del novembre 2010, a Santiago de Compostela e a Barcellona, dove andò a consacrare la basilica della Sagrada Familia”. Chiappalone evidenzia il legame tra la bellezza dell’edificio e la spiritualità dell’architetto Antoni Gaudí, che non era un’archistar, ma «un architetto geniale e cristiano coerente, la cui fiaccola della fede arse fino al termine della sua vita, vissuta con dignità e austerità assoluta». Da questo legame è nato il «miracolo architettonico» della Sagrada Familia, «uno spazio di bellezza, di fede e di speranza, che conduce l’uomo all’incontro con colui che è la verità e la bellezza stessa». Chiappalone fa riferimento all’udienza del 18 novembre 2009, di Benedetto XVI, interamente dedicata ai capolavori scaturiti dalla fede nei secoli medievali, evocando la celebre immagine della «bianca veste» di chiese con cui Rodolfo il Glabro descriveva il fermento artistico e religioso del suo tempo. Una «bianca veste» ancora oggi in grado di parlare, poiché «la forza dello stile romanico e lo splendore delle cattedrali gotiche ci rammentano che la via pulchritudinis, la via della bellezza, è un percorso privilegiato e affascinante per avvicinarsi al Mistero di Dio».
Anche nel “magistero liturgico” del pontefice, si nota quella volontà di recuperare lo stupore e la sacralità di una liturgia troppo spesso banalizzata o vissuta come un fastidio rispetto all’“impegno sociale” o peggio ancora sfigurata (parole sue) da «danze vuote attorno al vitello d’oro che siamo noi stessi», nell’autocelebrazione di una comunità che dimentica Dio.
E infine (ma non in ordine di importanza) il riaprire quello scrigno prezioso della liturgia tradizionale perché – ricordava nella lettera che accompagnava il motu proprio Summorum Pontificum – «fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa». Ricchezze nascoste per decenni, che non sono patrimonio di nostalgici (come pensa chi vorrebbe richiuderle) ma che continuano a parlare al cuore di molti giovani, anche per questo grati a Benedetto XVI. Come ho potuto constatare personalmente partecipando alla celebrazione della santa Messa col rito antico nella bellissima chiesa dei SS Pietro e Paolo a Cork in Irlanda.
Per Chiappalone, “Benedetto XVI è stata una delle personalità più fini ed elevate della storia almeno recente. Una sorta di Mozart della fede che per otto anni si è posato sulla “tastiera” della Chiesa con la stessa delicatezza con cui le sue dita scorrevano sul pianoforte nei momenti di distensione”.
Sono tante le riflessioni che il Papa emerito ha dedicato al tema della bellezza, sarebbe impossibile (e riduttivo) riassumere in un intervento il suo Magistero su questo argomento. La Manzin cita alcuni passaggi significativi dei vari interventi del pontefice. Come quello del 28 giugno 2005 il Papa appena eletto ricorda il legame tra verità e bellezza presentando il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica: «Le immagini sacre, con la loro bellezza, sono anch’esse annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità cattolica, mostrando la suprema armonia tra il buono e il bello, tra la via veritatis e la via pulchritudinis». Altro momento importante è il Discorso rivolto, il 21 novembre 2009, agli Artisti radunati nella Cappella Sistina, che Benedetto XVI presenta con chiarezza e completezza il rapporto tra bellezza e fede. Per il Pontefice la bellezza è come una scossa che scuote dalla rassegnazione: “Una funzione essenziale della vera bellezza, infatti, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano,[…]”.
Papa Benedetto XVI dedica un’udienza al tema delle cattedrali romaniche e gotiche del Medioevo. Merita di essere riletto e meditato, non solo come lezione di storia dell’arte ma soprattutto per il tema di fondo: il Papa ricorda che lo scopo dei costruttori di cattedrali non era culturale ma religioso: «Tutto era orientato e offerto a Dio nel luogo in cui si celebrava la liturgia. Possiamo comprendere meglio il senso che veniva attribuito a una cattedrale gotica, considerando il testo dell’iscrizione incisa sul portale centrale di Saint-Denis, a Parigi: “Passante, che vuoi lodare la bellezza di queste porte, non lasciarti abbagliare né dall’oro, né dalla magnificenza, ma piuttosto dal faticoso lavoro. Qui brilla un’opera famosa, ma voglia il cielo che quest’opera famosa che brilla faccia splendere gli spiriti, affinché con le verità luminose s’incamminino verso la vera luce, dove il Cristo è la vera porta”».
Nell’udienza del 30 settembre 2009 in Piazza San Pietro, ricordando il suo viaggio nella Repubblica Ceca, Benedetto XVI riflette sulla bellezza di Praga e in particolare del suo castello, dando una piccola lezione di urbanistica a misura d’uomo: «Il Castello di Praga, straordinario sotto il profilo storico e architettonico, suggerisce un’ulteriore riflessione più generale: esso racchiude nel suo vastissimo spazio molteplici monumenti, ambienti e istituzioni, quasi a rappresentare una polis, in cui convivono in armonia la Cattedrale e il Palazzo, la piazza e il giardino […] l’ambito civile e quello religioso, non giustapposti, ma in armonica vicinanza nella distinzione».
In conclusione la Manzin è convinta che anche oggi si possono costruire edifici belli, nonostante viviamo in una società intrisa di spirito rivoluzionario. Benedetto XVI ha lanciato a questo proposito un segnale di grande speranza quando ha consacrato nel 2010 la Sagrada Familia di Barcellona, contemplando «ammirato questo ambiente santo di incantevole bellezza, con tanta storia di fede». Certamente si possono ancora oggi costruire cattedrali.
DOMENICO BONVEGNA
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