#Betta_Pozzi, incantesimi di classicità

Il patrimonio antropologico dell’occidente contiene figure miliari e mirabili. Nelle rappresentazioni omeriche vi furono momenti utili a delineare profili sul bisogno dell’uomo, nella sua condizione precaria, a coltivare sicurezze, onde ovviare a presagi di sventura.

 

Il bisogno di previsione condusse sin dall’antichità a disegnare il volto di una figura come Cassandra, ovvero quel personaggio che raffigura il pessimismo non creduto, che predice il peggio sottovalutato dalla razionalità dell’uomo che non vuole scorgere nel suo presente il futuro peggiore: quello della sua fine.
In questo quadro la originaria e omerica Cassandra, avvia e segue i suoi rimaneggiamenti letterari da Seneca a Wolf, fino ad attualizzarsj con le parole di Massimo Fini e la raffigurazione di un immagine in cui ‘L’uomo è diventato un tumore del creato. Non abbiamo più futuro, ce lo siamo divorati. Questo futuro ci cadrà addosso come un drammatico presente e poi si vendicherà…’
Nel ‘Festival dei due mari’ di Tindari questa figura viene raccontata ed impersonata da una #magnifica e #generosa #Elisabetta_Pozzi e classicamente rimane impressa nella memoria del centinaio di spettatori, che hanno assistito nello scenario all’aperto di #Villa_Natoli di #Patti_Marinaad una rappresentazione unica ed inimitabile, avvenuta ieri sera 28 luglio 2018.
La protagonista evidenzia, nel preludio, di come le rovine raccontano i tempi mentre le macerie ingombrano e racchiudano un momento sterile dello scorcio storico.
Così Cassandra oggi è ancora lì, nella sua dimensione, e ci racconta la sua storia, gravida delle narrazioni dell’intera umanità, che stanno dentro il suo ventre. Nel ricordo di quella Micene prigioniera di Agamennone, Cassandra assume le vesti di Betta Pozzi che, a piedi nudi sul palco, dà bella e significativa prova della naturale dimensione della natura umana che procede piena di paure e disperazioni. La scena caratterizzata dalle plurime cornici dalle diverse dimensioni mette in luce una dialettica tra plurali momenti, dove, di fronte al ciarpame, la profetessa che ha li la sua casa tra rifiuti e macerie cerca di aiutare il discernimento degli uomini.

Certo nessuno crederà a Cassandra, ma da lei verranno le terribili verità che aiuteranno ad acquisire nuove consapevolezze. Così il tempo, nel suo istante presente, racchiude tutto il passato che merita attenzioni e coraggio, affinché tutti gli uomini nel loro incedere sulla terra possano lasciare tracce positive senza scontri disperati.

Ma, malgrado Cassandra, l’uomo rimane avviluppato alla sua inconsapevole tracotanza, privo di speranza, poggiato sul nulla.
Ecco che la Pozzi esalta, qui, nella sua interpretazione, un’opera circolare che dal classico tempo permanente di omeriche origini giunge a una contemporaneità ricca di terribili presagi… e nonostante il suo abbaiare non riesce a rendersi utile per farsi seguire e capire.

In questo nulla Cassandra ci conduce verso la comprensione del tempo perenne di quell’immane crimine che elimina le differenze tra gli uomini, in cui l’indifferenziato clima omogeneizzante è e rappresenta il crimine supremo: ovvero quell’omologazione che fa perdere umanità alle differenze.

Il lunghissimo applauso finale riconosce merito alla protagonista e agli autori, che messi assieme in una sintesi narrativa, dimostrano come i classici siano sempre utili agli uomini anche nella loro teatrale rappresentazione, che rimane sempre educativa.

Rino Nania