Il figlio chiama la madre
e le domanda: «Da dove sono venuto?
in che luogo mi hai trovato e preso con te?».
La madre lo ascolta,
sul suo viso si mostrano pianto e riso
mentre stringe suo figlio al petto.
«Eri un desiderio
che abitava nel mio cuore».
Rabindranath Tagore
Nato a Lima, in Perù, nel 1988, Steed Gamero è un poeta che non ha mai desiderato pubblicare un solo verso. La sua scrittura è segreta, perché appartiene alla sfera della sua percezione del vivere e del mondo. Ho avuto l’opportunità di pubblicare per Lavinia Dickinson Edizioni le sue opere di poesia I ragazzi della Casa del Sole, Maestro del sogno e Selva di luce (di cui siamo coautori) grazie all’amicizia e alla fiducia reciproca che ci legano. Sono brevi libri di notevole originalità, che hanno vinto importanti premi sia nazionali che internazionali e riscosso l’ammirazione di scrittori e poeti come Alberto Bevilacqua, Homero Aridjis e Franco Loi. Durante la serata finale del Premio Letterario Camaiore 2013, in cui sia lui che il giovane poeta italoperuviano furono premiati, Homero Aridjis mi disse, dopo aver letto alcune poesie della silloge I ragazzi della casa del Sole, che i versi di Steed Gamero gli trasmettevano emozioni potenti, perché «la poesia di Steed Gamero nasce dalla sua fiducia nelle nuove generazioni», nuove generazioni dei cui diritti l’autore messicano è uno strenuo difensore. Franco Loi era incantato dalla poesia di Gamero. «Sono versi che parlano di ragazzi e si rivolgono ai ragazzi,» mi disse durante un pomeriggio d’autunno del 2017, nel corso di una passeggiata nel centro storico di Milano. «Ed è questo che vorrei fare nei miei ultimi anni: scrivere per i più giovani, usando il loro linguaggio».
Il nuovo libro di Steed Gamero, Bianca come la sera – scritto e pubblicato in italiano e spagnolo, come I ragazzi della casa del Sole – è tanto breve quanto intenso e toccante. È teatro ed è, nel contempo, poesia. Grazie alla collaborazione fra l’autore e l’artista venezuelano Douglas Quintero, docente di arti plastiche ed erede della poderosa scuola del ritratto che ha antiche radici in Venezuela, è anche un racconto grafico di forte suggestione. È il mito del viaggio, della migrazione, in una sintesi di parole e immagini, che esprimono la necessità di far pace con il proprio io bambino, dopo il distacco, quando ci si ritrova, madre e figlio. Tornano alla mente alcuni versi di Pier Paolo Pasolini: «È difficile dire con parole di figlio / ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio. / Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, / ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore».
Bianca come la sera mette in scena l’attimo in cui ci si ritrova, ripercorrendo il passato, restituendo luce alla memoria che rifiuta di aprirsi. «Mentre rileggo il dialogo di Steed, mi lascio trasportare dalle evocazioni», scrive Maria Eugenia Esparragoza, studiosa di migrazioni e scrittrice, nella prefazione. «Stento a frenare le immagini che si accalcano alle porte della memoria. Mi pervengono le scelte delle donne sui cui percorsi ho cercato di riflettere, vedendole arrivare in gran numero nella città che mi accolse. Spinte da motivi analoghi a quelli di Blanca, ricostruivano le loro vite su un territorio di cui, per anni, mi sono sentita ferma sulle soglie».
Nel breve libro di Steed Gamero la poesia è infusa nelle parole e nei nomi; quelli dei due protagonisti del dialogo, Bianca e Manuel, sono un omaggio a due grandi poeti peruviani: Blanca Varela e Manuel Scorza. La loro conversazione racchiude ogni elemento di una storia universale che nasce nell’attimo in cui torniamo davanti alla madre per comprendere il passato e il futuro, il bene e il male, ripercorrendo le nostre esperienze, riscoprendo le nostre radici per sentirci più completi e guarire ricordi che fanno male come ferite.
«Non so come ho fatto a essere tanto arrabbiato con te e per così tanti anni. Non sono portavoce dei bambini nati negli anni ottanta o novanta, che hanno visto i loro genitori partire verso paesi lontani. Sono solo quel bambino che chiudeva gli occhi, all’aeroporto di Lima, e pregava che un volo non partisse mai più».
Poi, alla fine di un lungo pomeriggio di sensibilità e ricordi, un po’ di quiete si infonde nei cuori, piccola come la prima stella della sera, che si perde nel riposo dell’universo. Nel riposo di noi esseri umani, genitori e figli, che nessuna parola può raggiungere per davvero, se non con la temperatura del suo suono. Allora sappiamo che avremo la forza di vivere e la nostra patria sarà il luogo dove scendono le nostre lacrime, dove le nostre parole perdono finalmente la loro crisalide fatta di paura e rabbia e diventano leggere, libere, buone.