Fuoco sotto. Fuoco sopra. Romanzo culinario d’appendice bisettimanale e d’appendicite cronica di M. Gavio Fano Galt.
Capitolo 6.
Le vie del pescespada, dai Sargassi a Messina.
La pesca al pescespada ricorda il Moby Dick di Melville. La preda marina si avvista dall’alto di un pennone, si insegue il grande pesce a forza di remi, e infine si lancia l’arpione. È caccia e non pesca, e si pratica da oltre duemila anni, secondo una tecnica rimasta invariata nel tempo. (Roberto Giardina, L‘Europa e le vie del Mediterraneo, da Venezia a Istanbul, da Ulisse all’Oriente Express).
Un’antichissima leggenda narra che i Mirmidoni, popolo di origine mitica, generati da una metamorfosi (in origine essendo delle formiche) affranti per l’uccisione di Achille per mano di Paride, cercarono vendetta. I troiani, tuttavia, in ritiratasi diedero alla fuga a gambe levate. Sopraffati dall’avvilimento, dalla depressione, dalla disperazione, i Mirmidoni, si buttaronoin mare per annegare. Tetide, la ninfa marina madre di Achille, allora – con una seconda metamorfosi – li trasformò in pesci e, per immortalarne il valore, tramutò le loro spade in un lungo, temibile e terribile rostro sul muso.
Eligio: “Raniero, tu sai come si dividono gli uomini a Messina?
Raniero: “Non saprei. Tuttavia, credo di ricordare a memoria le parole del padrino de ‘Il giorno della civetta’ di Leonardo Sciascia”.
Eligio: “Si. Don Mariano … che avendo certa pratica di mondo … e ci riempiamo la bocca a dire umanità”.
Raniero: “Esatto. Quando esprime il rispetto per il capitano dei carabinieri Bellodi che sta per arrestarlo”.
Eligio: “Cinque categorie”.
Raniero: “ … gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più giù: i pigliainculo, …”
Eligio: “… che vanno diventando un esercito.”
Raniero: “E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo.»
Eligio: “La quarta categoria, per me, è figurata. Disprezzo chi si mette a novanta gradi per prostituzione intellettuale”.
Raniero: “ … infatti, nel film di Damiano Damiani del ‘68 si parla dei ruffiani”.
Eligio: “Il problema vero è l’omonegatività, l’omofobia, la xenofobia. Un problema vero è la non accettazione della diversità”.
Raniero: “Anche quando vi è apparente tolleranza se non ipocrita rispetto”.
Eligio: “Vi è un testo che si addice”.
Raniero: “Quale?”
Eligio:”I uomini sessuali di Zalone”.
Raniero: “Checco è un genio di comicità. Quanta cattiveria in questa società nei confronti di chi tiene un’altra sessuità. Quanta gente che vi ingiuria, quanta gente che vi attacca solo pecché non vi piace la patacca. Gli uomini sessuali sono gente tali e quali come noi, noi normali. Sanno piangere, sanno ridere, sanno battere le mani proprio come noi, persone sani”.
Eligio: “Esatto. Ora ti dico della penta ripartizione in riva allo Stretto. Mi aiuterò con le specie ittiche che lo attraversano”.
Raniero: “ … e cioè?”.
Eligio: “Te li declino per potenza espressiva. I buddaci, i pisci bannera, i pisci bistinu, i pisci i brodu, i pisci spada. Ovviamente, sono molti di più racchiusi tra le parentesi da ciciredda e di squali
ma li ho pescati per abbondanza.”
Raniero: “Sui buddaci, che sono raffigurati proprio sulle facciate del palazzo municipale, perché Zanca, l’architetto progettista, non veniva pagato … vi è una poesia, pare, di anonimo …”
Eligio: “Ricordi qualche verso?”
Raniero: “n omu ò munnu, tantu bommagaruchi nominatu fu lu “bbuccazzaru”!parra,‘nfirucìa e mmustra i dentima poi, ‘n sustanza, non cummina nenti. Siculu di razza o pì pritisi,u titulu v’u dici, è u “missinisi”, stimatupù so’ sali ‘ntra la zzucca, ma criticatu p’a lagghizza i bucca. Ma, a definizioni cchiù veracifu quannu u defineru u “buddhaci”!
Eligio: “Poi ci sono i bistini. Pisci (g)rossi, sarvaggi e sgradèvuli. A carni senza ciauri non la aggiusti mancu ccu li consi”.
Raniero: “Rispettando l’ordine i bannera. A me sembra che siano di più i cancia-bannera”.
Eligio: “Quindi i pisci i brodu. Persone di poca sostanza”.
Raniero: “Infine, i pescespada.”
Eligio: “Si dice di chi si butta a capofittoma, tranne qualche connotato negativo, mantiene prode cavalierato di gesto e animo. Un gustoso aneddoto, tra il serio e il faceto, tra la burla e il resoconto, tra la testimonianza e l’invenzione di fantasia,è raccontato dallo scienziato dei fondali marini Jacques Cousteau: “un pesce spada lungo 2,80m. attaccò il sottomarino americano di ricerche oceanografiche Alvin a una profondità di circa 500 metri al largo della costa della Georgia. La spada penetrò per intero, con tutti i suoi 96 cm. di lunghezza, nella struttura esterna in vetroresina del battello, che fu costretto a riemergere. L’equipaggio estrasse il pesce incastrato e se lo mangiò per cena… ″.
Raniero: “… sono anche passionali e romantici. Considera la storia dei pescespada come cantata da Domenico Modugno … Chist’e’’na storia … d’un pisci spada … storia d’amuri… perché il pesce spada maschio pigghiata, ferita e avvisa la so fimmina non si allontana e piange per il dolore offrendo il fianco all’arpione.”
Eligio: “Tu sai che la cosiddetta caccia al pescespada, la cui più ampia, esaustiva, documentata narrazione si deve al magistrato dottor Rocco Sisci, era stata descritta già nel secondo secolo avanti Cristo?
Raniero: “Davvero?
Eligio: “Si. Da Polibio. Aspetta che rinvengo la esatta citazione. Un attimo che ricerco nel motore. Eccola! ‹‹ In prossimità del porto su varie piccole imbarcazioni a due remi si pongono due uomini, ciascuna per esse. Un solo osservatore da un luogo elevato dirige i movimenti di queste. Su ogni barca, un uomo è ai remi, l’altro – armato di un arpione – sta a prora››.
Raniero: “Prima del luntro, per avvistare il pesce spada ci si appostava sulle colline. Il migliore punto di avvistamento era a Scilla. Il luntro è una imbarcazione riproposta nei secoli. Una restaurata da un maestro d’ascia e’ esposta nel Parco Horcynus Orca con sede a Capo Peloro”.
Eligio: “Luntru, palamitare, feluche, spadare … la caccia al pescespada, nonostante ammodernamenti e accorgimenti tecnologici resta intrisa di imperscrutabili riti, superstizioni e stregonerie che lasciano arcaica la lotta tra uomo e animale, tra ardimento e incertezza, tra cantilena e imprecazione, tra canto e incanto, tra spasimo e fatica, tra sopravvivenza e morte – come direbbe D’Arrigo – in un mare di lagrime fatto e disfatto a ogni colpo di remo”.
Raniero: “Già. Uno su tutti la ‘cardata’.”
Eligio: “ … che consiste nel graffiare e nell’incidere con le unghie la guancia destra del pescespada lasciando un segno di croce multiplo”.
Raniero: “Tutto questo, magnificato, in particolare nello scenario dello Stretto …”.
Eligio: “Tra Scilla e Cariddi”.
Raniero: “Scilla descritta da Virgilio nell’Eneide “Scilla dentro a le sue buie caverne / Stassene insidiando; e con le bocche / De’ suoi mostri voraci, che distese / Tien mai sempre ed aperte, i naviganti / Entro al suo speco a se tragge e trangugna. / Dal mezzo in su la faccia, il collo e ‘l petto / Ha di donna e di vergine; il restante / D’una pistrice, immane, che simili / A’ delfini ha le code, ai lupi il ventre”.
Eligio: “Cariddi, l’altra mostruosa creatura in corrispondenza della costa sicula, è descritta nell’Odissea (XII, 101-110): “L’altro scoglio, più basso lo vedrai, Odisseo, / vicini uno all’altro, dall’uno potresti colpir l’altro di freccia. / Su questo c’è un fico grande, ricco di foglie: / e sotto Cariddi gloriosa l’acqua livida assorbe. / Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe / paurosamente. Ah che tu non sia la quando assorbe! / Non ti salverebbe dalla rovina neppur l’Enosìctono. / Piuttosto lungo lo scoglio di Scilla navigando veloce / fa passare la nave, perché è molto meglio / piangere sulla nave sei uomini che tutti quanti”.
Raniero: “Eligio sai che un certo Timachida da Rodi scrisse un libro in undici volumi sui banchettie che a quanto pare in Grecia, oltre 2200 anni fa, per fregiarsi del titolo di cuoco bisognava frequentare due anni di durissima Accademia gastronomica?
Eligio: “Non lo sapevo”.
Raniero: “Si descrive anche una ricetta con pesce spada simile ai nostri involtini”.
Eligio: “ … involtini non si può sentire. Se non apprezzassi la tua cultura sbotterei con … a parra comu manci”.
Raniero: “Hai raggiuni. Ecco come ti dicevo, a prescindere dalla agghiotta, per me il modo migliore di gustare a pieno il pesce spada è la ruota agli aromi e agli agrumi oltre – ovviamente – le braciole”.
Eligio: “Con le braciole non si scherza. Prendono spunto da quelle di carne (talvolta unte internamente di strutto burro) ma il paradigma della farcia –, come base di pane raffermo grattugiato, pecorino grattugiato, formaggio filante, trito di aglio e prezzemolo, olio, sale e pepe quanto basta a misura di mano termometro di umidità e sapidità – si declina – con aggiunte varie per il ripieno (capperi, pinoli, uvetta passa, pistacchi, etc.etc.) e per le separazioni (cipolla, foglia di alloro, foglia di limone, etc. etc.) – per il pesce e per le verdure. Insomma, si annoverano braciole di vitello e vitellina, di pollo, di maiale, di spada, di sarda, di costardella, di salmone, di spatola, di melanzane, di peperoni, di zucchine e … di tutto ciò che si può arrotolare con sottile grazia e consistente tenuta. A Messina le braciole non ne mancano. Alla brace, al forno, ai ferri, in umido, al sugo di pomodoro. Braciole a volontà. Braciole belle a sazietà”.
Raniero: “Glossario di diversità. Braciole uguali involtini; mollica uguale pangrattato; spitini uguale spiedini; emulsione uguale salmoriglio; belle uguale buone. Come diceva Brancati per essere siciliani bisogna essere diversi”.
Eligio: “Non mancano mancu i braciulittuni.. Questa è però altra razza”.
Per una versione simil-tradizionale delle braciole di spada, posto che ogni casa, ogni nonna, ogni massaia ha la sua, si consiglia di versare la mollica in un recipiente basso e largo per condirla con l’aglio schiacciato, il prezzemolo tritato, il formaggio, i pinoli, l’origano, i capperi dissalati, i grani di pepe… tutti da tritare e mescolare con una miscela di olio e limone e pizzico di sale.
Le fette di pesce spada, sulla cui parte e sul cui taglio è bene farsi consigliare dal pescivendolo di fiducia, vanno spalmate di olio d’oliva e sgocciolate vanno “mpanate” nel pangrattato.
Su ogni fetta di pesce spada va disposto il condimento preparato e aggiunto un dadino di provola, (provolone, caciocavallo, primosale, pepato fresco, tuma). Le fette vanno avvolte fino a formare un involtino cercando al primo giro di riporre i laterali verso l’interno per evitare la fuoriuscita del composto. Le singole braciole, magari suddivise da foglie di alloro (lauro) vanno infilzate per formare degli spiedini e cotte curando la doratura in entrambi i lati … meglio se grigliati e se conditi col salmoriglio.
La ruota di pesce spada, invece, è un prelibato secondo piatto tipico della cucina siciliana. Una unica fetta rotonda del peso di circa un chilo e mezzo (dipendendo dalla circonferenza) e dello spessore di alcuni centimetri, tra i cinque e i sette centimetri, – condita con molta semplicità (limoni non trattati, magari Interdonato, prezzemolo, origano, aglio, peperoncino rosso fresco o pepe nero in grani macinato al momento, olio extra vergine d’oliva).Occorre, anzitutto, lavare la fetta di pesce spada, asciugarla e massaggiarlaprima e irrorarla dopo con un’emulsione a base di olio, di succo di due/tre limoni, di un pizzico d’origano, di buccia grattugiata di un limone e un pizzico di sale. Se si opta per farlo al forno, in sostituzione di due tegami di coccio sovrapposti per ottenere il tepore e il vapore della tecnica a bagnomaria, disporre la ruota (su un foglio di carta forno spennellato di olio) su una di teglia adeguata. Aggiungere il peperoncino tagliato a pezzetti (o il pepe nero) e uno spicchio d’aglio. Definire con fettine di limone (ma eventualmente anche di arancia) disposte a raggiera. Mettere in forno caldo preriscaldato per circa 40 minuti. Trascorso questo tempo aprire, controllare la cottura e bagnare la ruota con il sughetto che si sarà formato. Richiudere a mo di cartoccio sigillando bene (aiutandosi con un po’ di carta alluminio) e rimettere in forno ancora per cinque-dieci minuti: il pesce spada deve essere morbido ma la cottura non deve essere eccessiva, altrimenti diventerebbe stopposo. Se non si vuole la nota agrumata l’alternativa è alla pantesca con pomodorini ciliegini o datterino, capperi, cocunci, basilico, menta.
Continua…