di Roberto Malini
Un autore ebreo che descrisse in romanzi e racconti il dramma dell’esistenza umana, ritraendo l’uomo disumanizzato da ideologie intolleranti e oppressive…
Oggi, 3 giugno 2024, commemoriamo il centenario della morte di Franz Kafka, nato a Praga il 3 luglio 1883 e scomparso a Kierling il 3 giugno 1924. Kafka, nelle sue opere, descrive in modo acuto e profondo la crisi esistenziale dell’uomo moderno, mettendo in luce elementi cruciali della storia e del pensiero degli ebrei dell’Europa orientale, un popolo perseguitato e costantemente in fuga, che ha dovuto abbandonare beni e certezze, ma che è rimasto sempre unito nelle sue comunità, fino alla tragica esperienza dell’Olocausto. L’individuo kafkiano è intrappolato in una realtà che lo soffoca, perennemente in preda a un senso di inettitudine e colpa, insinuato dal pregiudizio esterno.
Franz Kafka nasce e cresce in una famiglia ebrea; il rapporto con il padre autoritario e distante è sempre stato tormentato e difficile.
Nel 1906 Kafka si laurea in legge e trova lavoro come funzionario presso una società di assicurazioni, intraprendendo nel contempo un’intensa attività letteraria. La sua vita sentimentale, altrettanto intensa e turbolenta, lo porta a rompere diverse relazioni.
Afflitto dalla tubercolosi, Kafka muore il 3 giugno 1924, a soli quarant’anni, nel sanatorio di Kierling, vicino Vienna.
La maggior parte delle sue opere viene pubblicata postuma, ad eccezione del racconto lungo La metamorfosi (1916) e della raccolta di novelle Un medico di campagna (1919). Perennemente insoddisfatto del proprio lavoro, Kafka lascia precise istruzioni affinché tutte le sue altre opere siano distrutte, ritenendole incomplete.
Tuttavia, l’amico Max Brod disobbedisce alla sua volontà e pubblica i romanzi Il processo (1925) e Il castello (1926). Postumi vengono pubblicati anche il Diario 1910-1923 (1948), che permette di seguire l’evoluzione interiore di Kafka, e Lettere a Milena (1952), significativo documento della sua tormentata vita sentimentale.
Kafka dà voce al dramma dell’esistenza umana, ritraendo l’uomo disumanizzato da ideologie intolleranti e oppressive. I suoi protagonisti sono intrappolati in labirinti burocratici e sociali, dove l’angoscia e la follia sono le uniche costanti. Le leggi cambiano arbitrariamente, giustificando la repressione e la discriminazione. Gli individui, bersagliati dal pregiudizio, si agitano invano in cerca di risposte. Non cercano soluzioni, perché non esistono, ma piuttosto una comprensione che dia senso al loro tormento. Al massimo, sperano di diventare invisibili o di trovare una via di fuga.
Nei suoi romanzi, i protagonisti sono vittime di un destino crudele e grottesco. Sono intrappolati in situazioni che non comprendono e dalle quali non possono sfuggire. La loro esistenza viene improvvisamente privata dei diritti fondamentali, rendendoli estranei nel loro stesso mondo.
Kafka utilizza la tecnica dell’inversione, mescolando fatti impossibili e inaccettabili con eventi plausibili, fino a renderli indistinguibili. Questo capovolgimento dei piani del reale e dell’irreale mette in discussione la nozione stessa di giustizia. Fatti assurdi e crudeli diventano plausibili sia per i protagonisti che per i lettori, mentre la realtà, la verità, l’etica e i diritti universali perdono consistenza e significato.
La sua esplorazione delle profondità dell’angoscia umana e della disumanizzazione burocratica è tanto attuale oggi quanto lo era un secolo fa. Kafka ci sfida a guardare oltre le apparenze, a interrogare le strutture di potere che governano le nostre vite e a riconoscere l’umanità anche nei contesti più disumanizzanti. La sua capacità di trasformare le ansie quotidiane in racconti universali lo rende un pilastro della letteratura mondiale, un autore che continua a interrogare e affascinare, ricordandoci che la ricerca di senso è una delle più profonde esperienze umane. (Dipinto in AI e pittura digitale di Roberto Malini)