di ANDREA FILLORAMO
Sì, è proprio vero quel che mi scrive un lettore di IMG PRESS: le cause per le canonizzazioni dei Santi sono complesse, richiedono molto lavoro e costano troppo e, pertanto – come egli fa notare – la causa di beatificazione di Mons. Francesco Fasola, arcivescovo di Messina, assieme a molte altre, va molto a rilento.
Da informazioni che ho avuto, infatti, in una causa di canonizzazione, molte sono le spese che si devono sostenere, che servono per pagare i diritti della Santa Sede, i compensi da garantire ai consulenti storici e ai medici per l’accertamento di un miracolo, ai teologi e ad ogni altro consulente, per la cerimonia conclusiva etc. Ogni causa, pertanto, costa in media almeno 500 mila euro.
Diventare beato, per Antonio Rosmini, per esempio, è costato addirittura 750 mila euro, tant’è che il sacerdote e filosofo roveretano occupa, attualmente, secondo il giornalista Gianluigi Nuzzi, autore del best seller “Via crucis”, la testa della classifica delle cause più care.
Monsignor Giulio Viviani, per dodici anni cerimoniere di Papa Giovanni Paolo II e ora direttore dello Studio teologico accademico del Seminario di Trento, ha un’esperienza diretta in questo campo e dice: “Ogni causa è diversa dall’altra. Tante volte ci sono ricerche storiche da fare negli archivi. Una famiglia religiosa che ha del personale disponibile lavora in proprio. A volte invece bisogna che lo facciano altri: studenti, giovani o professionisti, che chiedono lo stipendio o anche solo un rimborso dei costi. Poi c’è chi redige fisicamente una biografia documentata: può essere il postulatore oppure una persona da lui delegata che lo fa per professione”.
Una semplice osservazione: è vero che oggi il denaro è necessario per tutto ed è anche vero, come scrive George Horace Lorimer, giornalista e pubblicista americano, che “è bene avere il denaro e le cose che il denaro può comprare, ma è bene anche, ogni tanto, controllare ed essere sicuri di non aver perso le cose che il denaro non può comprare”.
Ritengo, tuttavia, che sia un assurdo che per canonizzare un uomo o una donna, morti in “odore di santità”, per venerarli, quindi, come Beati e Santi, per farli riconoscere dalla Chiesa intercessori presso Dio, che hanno praticato in misura eroica le virtù cristiane, che meritano di godere la visione beatifica di Dio, si debba procurare e spendere tanto denaro, servendosi anche di collettori o di vere e proprie sponsorizzazioni a somiglianza dei prodotti commerciali, senza tener conto che tanto denaro o una qual sua certa parte potrebbe essere impiegato diversamente o si potrebbe cederla – e perché no?- ai poveri.
Di ciò, però, non c’è da meravigliarsi, “pagare per avere” è avvenuto sempre anche nella Chiesa, come nel lontano passato, quando per vedersi aprire le porte del paradiso si ricorreva alla vendita delle indulgenze e si faceva credere che non servivano la fede e le buone opere, ma bastava pagare per ottenere il perdono. Da ciò la ribellione di Lutero e la riforma protestante.
Oggi tutto può essere rilevato ed acquisito dalle vicende vissute dalla Chiesa che non è riuscita nel passato a liberarsi e forse anche nel presente dal vizio dell’avidità.
L’azione profetica e autenticamente riformatrice di papa Francesco sta progressivamente smantellandole e ricostruendo un contesto di trasparenza, al quale forse l’ambiente ecclesiastico non è abituato.
È vero ancora che tutt’oggi in alcune parrocchie, è ancora il denaro che dà l’accesso al sacro.
Ci sono infatti in esse “tariffari” per le messe di suffragio, che dovrebbero aprire le porte del paradiso ai defunti e per i sacramenti.
Non è assolutamente attuabile, giustificabile e, quindi, è inaccettabile quanto scriveva Famiglia Cristiana (8 maggio 2009), che affermava: “il deterrente della tariffa va superato, perché ha legato la Messa e gli altri sacramenti a un prezzo in denaro. Nel caso specifico – continua a dire – bisogna però porsi qualche domanda. Quanto si prevede di spendere per il pranzo, per i regali e magari per un vestito nuovo per l’occasione? E quanto si sarebbe stati disposti a pagare per un proprio fotografo? Quanto chiesto dalla parrocchia, anche se fastidioso, non pare così esoso. Non va peraltro inteso come un mero pagamento del servizio, ma come un’offerta, un contributo per quella che è la casa di tutta la comunità”.
Chi ragiona così anche oggi ignora un documento della Congregazione per il clero che ha messo nero su bianco i ripetuti moniti di Papa Francesco che più volte si è scagliato duramente contro tali tariffari per le celebrazioni fissati da quelli che ha definito “preti affaristi”. “Quante volte – ha affermato Bergoglio – vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c’è lì la lista dei prezzi per il battesimo, la benedizione, le intenzioni per la messa”.
Il Papa non ha esitato a definire tutto ciò una vera e propria “corruzione che scandalizza il popolo”, aggiungendo che “le Chiese non devono mai diventare case di affari perché la redenzione di Gesù è sempre gratuita”.
Papa Francesco conosce bene i problemi relativi alla canonizzazione dei Santi e sta attuando una “spending review” sui processi di canonizzazione con controlli rigidissimi sulle spese attraverso l’introduzione di nuove “norme sull’amministrazione dei beni delle cause di beatificazione e canonizzazione” e abrogando quelle approvate durante il pontificato di Giovanni Paolo II nel 1983.
Ad intervenire in modo drastico sui processi formali di beati e santi, il cui lungo elenco (ne sono stati proclamati, rispettivamente, 1.338 e 482, durante il pontificato del papa polacco; 45 santi con Benedetto XVI e 26 con l’attuale pontefice), papa Francesco, ha già approvato “ad experimentum” per tre anni le nuove regole ispirate a maggiore trasparenza e ad una vigilanza serrata al fine di contenere le spese – dovute alla “loro complessità”, alla “divulgazione della conoscenza della figura del servo di Dio o beato” all’inchiesta “diocesana o eparchiale”, senza contare le celebrazioni – vigilando in modo “da non ostacolarne il proseguimento”.
Poniamoci una domanda provocatoria: Sappiamo quanti sono oggi i Santi e i beati nella Chiesa?
È praticamente impossibile dirlo con assoluta certezza. Fino al 1234 le Chiese locali potevano dichiarare santi in autonomia e fu solo Gregorio IX che riuscì ad avocarsi il diritto alla proclamazione. E solo nel 1483 con Sisto IV si affermerà la distinzione giuridica tra Santi e Beati.
Secondo il Martyrologium Romanum, una delle fonti più autorevoli, si è arrivati nell’ultima edizione del 2004 a un numero altissimo di Beati e Santi che sarebbero: 13.539.
Oggi è chiaro come si sia a quasi a più di 15 mila dopo le infornate dei Papi tra il 2004 e il 2019. Da notare che i nomi elencati sono 6588, ma a fianco si parla per alcuni di 6881 compagni neanche nominati, come spesso capita per i martiri e le persecuzioni di massa, ma che condividono la santità.
Molti dei Santi chiaramente si perdono nel mito, risalgono ai tempi del primo cristianesimo, quello delle catacombe, ma il sempre maggiore numero delle proclamazioni sta creando nuove generazioni di Santi, di cui abbiamo foto e video, per esempio, a fianco di quelli che fanno da patroni delle nostre città.
Forse sono stati sempre troppi i Beati e i Santi in paradiso ai quali rivolgersi, dimenticando talvolta che il primo intermediario fra gli uomini e Dio è Gesù e incrementando, così, il devozionismo che mina alle radici lo stesso messaggio evangelico.
Da evidenziare che il devozionismo è cosa ben diversa dall’essere devoti,
è una deviazione, con la quale si crea una sorta d’idolo, si fa diventare un santo (quindi un uomo, una creatura) il proprio dio, togliendo Dio, quello vero, dai propri pensieri.
Il Santo non diventa quindi un “mezzo” per dare gloria a Dio, ma diventa egli stessa dio, che in tal caso non si venera, come vuole la Chiesa Cattolica, ma si adora.
Ciò significa che Dio scompare dalla propria vita, quello che è ontologicamente il centro di tutto, viene dimenticato.
Nel momento in cui Dio viene a mancare e si sostituisce con un Santo, tutto si ritrova in balia della soggettività e dei propri desideri.