La sera del 10 u.s., ricordavo ai miei fedeli che l’indomani per me sarebbe stato un giorno particolare, per due motivi: la festa di S. Benedetto Abate, un santo a cui sono particolarmente legato e l’anniversario (19°) del giorno in cui mons. Marra mi aveva convocato (mentre ero parroco di Zafferia) per propormi la Parrocchia di S. Luca Evangelista.
Quell’anno l’11 luglio cadeva di domenica. Ho pure detto che, vista la ricorrenza della festa del padre del monachesimo occidentale, le parole che mi erano venute in mente di fronte all’intenzione del Vescovo del tempo, erano state quelle che più o meno suonano così: Ausculta o fili. Obedientia sine mora. Ora et labora (Ascolta o figlio. Obbedienza senza indugio. Prega e lavora).
Quando la sera dell’undici luglio mi è giunta la notizia del decesso di mons. Giovanni Marra, arcivescovo emerito, ho visto nella coincidenza della stesso giorno un segno della bontà divina.
Ognuno di noi si porta dietro alcuni ricordi personali scaturiti dall’incontro con il suddetto vescovo emerito. Penso tuttavia che alcuni segni siano comuni nel fare percepire la bontà d’animo di mons. Marra.
Fra i tratti più significativi, vorrei ricordare la sua responsabilità nel riconoscere con molta umiltà i propri limiti. Mi rifaccio a due episodi. Il primo vissuto nel duomo di Taormina il 14 gennaio 1999, allorché all’omelia durante i funerali di mons. Giuseppe Sciglio, ammise senza alcun vittimismo che la sua persona avrebbe fatto soffrire il prete che richiamò – per le sue esequie – nella perla dello jonio più preti del giovedì santo. Tanta era la fraternità che aveva instaurato con i confratelli!
Il secondo episodio è accadde circa un anno prima che Mons. Marra lasciasse la diocesi, in un incontro di preti nella sede del “Cenacolo” di Calderà, incalzato dai preti presenti su alcuni evidenti disagi pastorali provocati dalle nuove leve, il vescovo emerito aggiunse: “Mi dispiace dover ammettere, ma devo dire che su parecchi giovani del nostro seminario da me ordinati…mi sono sbagliato…”.
Qualcuno potrebbe obiettare che sia il classico gesto del coccodrillo che piange dopo aver mangiato i piccoli, ma per mons. Marra era un semplice modo di riconoscere la propria fragilità e la potenza dell’amore di Dio.
Che riposi nella pace dei giusti.
Ettore Sentimentale