I preti sono oggi più che mai nell’occhio del ciclone, a causa di vari e ripetuti scandali, di accuse in cui abuso di potere e sconfinamento negli abusi sessuali hanno minato profondamente la fiducia del “popolo dei credenti” e, ancor più “del popolo dei lontani”. Ritengo che sia necessario passare dall’indignazione che è oltremodo lecita, al mettere radicalmente in discussione i motivi per cui avvengono nella Chiesa e nel clero scandali e abusi.
di ANDREA FILLORAMO
I preti sono oggi più che mai nell’occhio del ciclone, a causa di vari e ripetuti scandali, di accuse in cui abuso di potere e sconfinamento negli abusi sessuali hanno minato profondamente la fiducia del “popolo dei credenti” e, ancor più “del popolo dei lontani”. Ritengo che sia necessario passare dall’indignazione che è oltremodo lecita, al mettere radicalmente in discussione i motivi per cui avvengono nella Chiesa e nel clero scandali e abusi.
Ciò che da tempo cerco di fare, senza assumere atteggiamenti che si risolvono molte volte nelle forme velate di “voyeurismo” che osserviamo in quanti trattano il problema nei giornali, nelle televisioni e nella Rete senza porsi molto spesso il problema delle motivazioni di quello che è un vero dramma nella Chiesa, che nessuno, neppure il più agguerrito integralista cattolico può negare.
Non si può destinare alla gogna una moltitudine di persone condannata da un’insana, imposta filosofia della vita, che obbliga a considerare la sessualità solo il “bonum concupiscentiae” utile solo alla procreazione, e per tal motivo impegnata, pur con le contraddizioni imposte, dottrinalmente validate, a vivere la sessualità come un macigno che grava sulla coscienza che viene orientata fin da bambini al celibato per il regno dei cieli, al quale oggi pochi credono.
Per far ciò, ho utilizzato e continuo a utilizzare le mie conoscenze e la mia esperienza con l’amore che ho nei confronti della Chiesa che è chiamata, come si può facilmente comprendere prima dei suoi stessi preti alla conversione, facendo, quindi, lo sforzo di liberarsi dall’insieme delle dottrine sessuofobiche e misogine, che sono la causa di tutti gli abusi sessuali che, finalmente, escono allo scoperto.
Sono dell’avviso che ogni ambito della vita della Chiesa, e in particolare quello dei ministri ordinati, è chiamato a confrontarsi in modo radicale e non ipocrita con la propria fragilità.
Occorre smettere, quindi, di immaginare, in modo molto ingenuo e irrealistico, che il prete non abbia una vita emotiva e sessuale come tutti gli altri.
Per tal motivo ritengo che ogni prete deve affrontare questa sua dimensione non solo lungo la propria vita ma dentro la propria avventura pastorale, fuori da una sacralità presunta e non più sostenibile.
L’interpretazione cultuale che prima e dopo il Concilio di Trento è andata a sposarsi con una lettura sacrale del ministero del prete che ha fatto di lui un intermediario fra Dio e gli altri credenti, lascia, perciò, lo spazio all’uomo che non nega la sua umanità.
Il prete deve essere capace a livello personale ma anche con l’aiuto di qualche specialista, di affrontare e risolvere i temi dell’omosessualità, della devianza sessuale, del celibato di “facciata”.
Su questi temi deve egli alimentare una discussione senza timore o imbarazzo, con il proprio vescovo che non è chiamato ad intervenire solo quando si agitano all’interno delle parrocchie le “voci narranti” dei fedeli, che si mettono a tacere con una traslocazione del disagio verso altri lidi.
Deve inoltre interloquire con i laici “probati” che hanno una vita sessuale tranquilla che anch’essi possono essergli di aiuto nei momenti di difficoltà.
In gioco c’è il significato stesso dell’essere cristiani e anche quello di essere preti.